Diffamazione di “eccezionale gravità” e diritti della personalità. Accolto il nostro appello.

Sentenza n. 450/2024 pubbl. il 22/01/2024
RG n. 5691/2019
Repert. n. 415/2024 del 22/01/2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI ROMA

SEZIONE SECONDA CIVILE

così composta:

Benedetta THELLUNG de COURTELARY Presidente

Marina TUCCI Consigliere

Mario MONTANARO Consigliere rel.

riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 5691 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2019, decisa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. all’udienza del giorno 22.1.2024

tra

ESPOSITO ANTONIO (cod. fisc. SPS NTN 40T18 I438F), elettivamente domiciliato in Roma, Via Pistoia n. 6, presso lo studio dell’avv. Alessandro Biamonte, che lo rappresenta e difende per procura su foglio separato allegato alla comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado;

-appellante – appellato in via incidentale-

e

QUOTIDIANO ***  (cod. fisc. non indicato), in persona dei liquidatori e legali rappresentanti pro tempore, ***, ***, elettivamente domiciliati in Roma, Via delle Quattro Fontane n. 20, presso lo studio dell’avv. Antonio Auricchio, che li rappresenta e difende unitamente agli avv. Stefano Bucci e Decio Nicola Mattei per procure a margine della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado;

-appellati – appellanti in via incidentale-

OGGETTO: diritti della personalità.

CONCLUSIONI

per Antonio Esposito: “Che l’ecc.ma Corte adita, respinta ogni contraria istanza, eccezione e/o deduzione, voglia accogliere il presente appello e, in parziale riforma, della sentenza n. 3046/2019, pubblicata l’11.2.2019, resa dalla I Sez. civile del Tribunale di Roma sul giudizio n. R.G. 7465/2016, Giudice Dott.ssa Valeria Chirico, e per l’effetto così provvedere:

Ferma restando la già accertata e dichiarata natura diffamatoria dei titoli e degli articoli pubblicati dal quotidiano ‘***’ – sia su quello cartaceo che on-line – tutti indicati ed elencati nell’atto di citazione e nella premessa del presente appello e la già accertata e dichiarata responsabilità in solido tra loro, e comunque di ciascuno in relazione alle proprie responsabilità del giornalista ***, del direttore responsabile dell’epoca *** ***, e della testata ‘***’ *** ***;

a) Condannare i convenuti in solido tra loro, ovvero in relazione alla responsabilità di ciascuno che si riterrà sussistere, al risarcimento dei danni in favore dell’attore Dott. Antonio Esposito nella misura di € 250.000,00 (due-centocinquantamila) ovvero, in subordine, in quella minore che la Corte riterrà di liquidare sempre, in ogni caso, in misura superiore a quella determinata dal giudice di I grado, tenendo conto della eccezionale gravità della diffamazione;

b) Condannare il convenuto *** alla riparazione pecuniaria in favore del Dott. Antonio Esposito ai sensi dell’art. 12 della L. 8.2.1948 n. 47 nella misura che la Corte, previa riforma sul punto della sentenza, riterrà equo liquidare ma sempre in misura superiore a quella determinata dal giudice di I grado.

c) Ordinare la pubblicazione per estratto ex art. 120 c.p.c. a spese dei con-venuti, e con la medesima evidenza degli articoli in questione, della sentenza sul quotidiano cartaceo  ***, e sulla sua edizione on line, nonché su almeno due quotidiani a diffusione nazionale sia nella edizione cartacea, sia in quella on line.

d) Disporre l’inserimento sul sito on-line de ‘***’ e sul sito web del giornalista, ove sono riportati i singoli articoli, di un link che richiami il di-spositivo della sentenza che ha accertato la natura diffamatoria di essi articoli.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari di difesa, oltre IVA, CPA e spese generali e con il rimborso del contributo unificato”;

per la Quotidiano * *** ***, *** *** e ***: “(iii) in via principale, rigettare l’appello del Dr. Esposito ed in accoglimento dell’appello incidentale riformare la sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto insussistenti i diritti di cronaca e di critica e dichiarare che alcun risarcimento è dovuto al Dr. Esposito dagli odierni appellati;

(iv) in subordine, nella denegata e non creduta ipotesi in cui l’Ecc.ma Corte adita ritenesse dovuta una qualsivoglia somma in favore del Dr. Esposito, rigettare l’appello del Dr. Esposito ed in accoglimento dell’appello inciden-tale, ridurre l’importo oggetto di condanna stante la mancata prova dei danni effettivamente subiti dal Dr. Esposito ed il mancato esercizio da parte dello stesso del diritto di rettifica, nonché dichiarare insussistente la responsabilità del Direttore e dell’editore per le pubblicazioni contestate.

Con rifusione di spese e competenze di causa”.

FATTO e DIRITTO

1. Con atto di citazione notificato in data 3.2.2016 Antonio Esposito ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la *** *** ***, quale editrice del quotidiano “***”, *** ***, quale Direttore di tale quotidiano, e ***, giornalista autore degli articoli, esponendo:

– di essere stato fino al 18.12.2015 Presidente titolare della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione e che nel 2013 ha presieduto la Sezione Feriale di tale Corte, chiamata a decidere l’impugnazione avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano nel c.d. “Processo Mediaset”, conclusasi con la conferma della condanna dell’ex Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Silvio Berlusconi;

– di essersi occupato, quale magistrato, dei casi più delicati che hanno segnato la recente storia italiana;

– che il quotidiano “***”, a partire dal mese di dicembre 2013, ha posto in essere una campagna stampa con cui ha rappresentato un suo coinvolgi-mento nel procedimento penale per associazione di stampo mafioso (c.d. processo “Plinius”), sfociata nell’arresto di alcuni professionisti calabresi, tra cui il Sindaco di Scalea, Pasquale Basile, e l’avv. Mario Nocito;

– che, in particolare, gli articoli pubblicati sia sull’edizione cartacea che on line della testata giornalistica “***”, attraverso cui tale quotidiano ha posto in essere una campagna diffamatoria nei suoi confronti, sono i seguenti:

– 13.12.2013, in prima pagina, titolo: “GLI AMICI “MAFIOSI” DEL GIUDICE ESPOSITO” e, pag. 6, a piena pagina, a caratteri cubitali: “GLI AMICI MAFIOSI DEL GIUDICE ESPOSITO”, sottotitolo: “Ancora guai per il magistrato che ha condannato definitivamente il Cav. Ecco le telefonate con due imputati nell’in-chiesta sulle cosche in Calabria”, con al centro la foto di Antonio Esposito che legge il dispositivo della sentenza Mediaset, recante la dicitura: “Il di-scusso Presidente della Corte di Cassazione che ha condannato Berlusconi” e sopra tale foto una foto di Silvio Berlusconi, recante la dicitura: “Sentenza, con la condanna definitiva Berlusconi è stato eliminato dalla scena politica nazionale”;

– 21.2.2014, pag. 13, a tutta pagina, a caratteri cubitali: “COME TI SALVO IL GIUDICE ESPOSITO DAL PROCESSO AGLI AMICI «MAFIOSI»”, con al centro la foto dell’Esposito;

– 10.8.2014, in prima pagina, a caratteri cubitali: “CONDANNO’ BERLUSCONI L’INTOCCABILE”; nel sommario: “Nuove intercettazioni e rapporti fra il Giu-dice Esposito e un amico arrestato per mafia. Il Tribunale convoca decine di testimoni ma non la toga”; pag. 2, a piena pagina, taglio alto, a caratteri cubitali: “IL GIUDICE DI BERLUSCONI: ANTONIO ESPOSITO, L’INTOCCABILE”; nell’occhiello: “Il Giudice di Berlusconi”; nel sottotitolo: “più di cento persone sul banco dei testimoni. Ma lui non c’è. Così la SCorte del Tribunale di Paola lo ha tenuto fuori dal processo”; pag. 2, taglio basso, a caratteri cubitali: “ECCO L’UOMO CHE SILURO’ L’ODIATO CAVALIERE”, con al centro, tra pag. 2 e pag. 3, una gigantografia di Antonio Esposito in toga e di fianco una foto di Silvio Berlusconi;

– 10.8.2014, pag. 3, taglio alto, a tutta pagina, a caratteri cubitali: “CHIESE UN FAVORE ALL’AMICO FINITO IN CARCERE PER MAFIA”. “Le intercettazioni sbugiardano l’alto magistrato. Il contatto con Nocito c’è stato. Ecco le telefo-nate”;

– 23.8.2014, pag. 10, a caratteri cubitali: “E il giudice Esposito diventa critico cinematografico”; nel sommario: “ha condannato Berlusconi, ora si diverte al «Villammare film Festival»”;

– 22.3.2015, in prima pagina, accanto a una foto di Antonio Esposito in toga, a caratteri cubitali, il titolo: “il magistrato di Berlusconi e l’imputato per mafia (in rilievo in rosso), TEST VOCALE AL PROCESSO SUL GIUDICE ESPOSITO”; pag. 8, a piena pagina, a caratteri cubitali: “TEST VOCALE SUL GIUDICE ESPO-SITO”, sommario: “Analizzati i rapporti tra il Giudice di Berlusconi e un arre-stato per mafia. In Tribunale l’analisi delle voci affidate alla tecnica «pragma-linguistica»”, con foto del giudice;

– 4.9.2015, in prima pagina, taglio medio, titolo: “SONO MAFIOSI GLI «AMICI» DEL GIUDICE ESPOSITO”, con foto del giudice; pag. 12, a piena pagina, a caratteri cubitali, sopra a una grande foto di Antonio Esposito, il titolo: “SONO MAFIOSI GLI <<AMICI>> DI ESPOSITO”, sommario: “Condannati a 15 anni le persone intercettate con il Giudice del caso Berlusconi. Avvocato e Sindaco di Scalea intercettati con la toga della Cassazione”;

– che detti articoli sono stati pubblicati anche sul sito internet del quotidiano “***”;

– che “***” è una testata giornalistica molto vicina all’area politica di cui era leader indiscusso l’on. Silvio Berlusconi e che il Direttore del quotidiano ” ***” era stato per vent’anni giornalista di punta del quotidiano di famiglia dello stesso on. Berlusconi, “Il Giornale”, di cui il giornalista *** era da dodici anni collaboratore;

– che il primo segmento dell’attività denigratoria posta in essere da “***” ai danni dell’attore è stato attuato con il continuo, costante, ininterrotto e strumentale abbinamento di Antonio Esposito a Silvio Berlusconi, con contestuali foto di entrambi e l’utilizzo di espressioni quali: “ha silurato l’odiato Cavaliere”, “ha eliminato il Cavaliere”, “in un minuto ha fatto fuori dalla vita politico elettorale italiana l’indiscusso leader del centro-destra, Silvio Berlusconi”; e, in una seconda fase, il giornale convenuto è passato ad un’o-pera di demolizione dell’immagine pubblica e privata di Antonio Esposito, “magistrato che aveva condannato Berlusconi”, additandolo all’opinione pubblica come magistrato “in stretti, intimi e confidenziali rapporti con persone arrestate per mafia”, con conseguente delegittimazione della sua persona e della decisione adottata, utilizzando a tale fine il c.d. “Processo Plinius”, in cui egli non era in alcun modo coinvolto, circostanza quest’ultima resa nota con un comunicato stampa del 20.12.2013 a firma del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e del Procuratore Distrettuale Antimafia, Vincenzo Antonio Lombardo, del quale il quotidiano “Il ***” non aveva fatto il minimo cenno;

– che non solo l’attore non era coinvolto nell’inchiesta “Plinius”, ma neppure aveva quella familiarità di rapporti con gli indagati, strumentalmente prefi-gurata dal quotidiano;

– che non ricorrevano nel caso di specie i presupposti di applicabilità del diritto di cronaca;

– che della campagna diffamatoria sopra delineata erano responsabili in via solidale il direttore e l’editore del giornale;

– che tale campagna diffamatoria aveva cagionato ad Antonio Esposito un danno sia all’immagine e alla reputazione personale e professionale, sia all’integrità psicofisica; e anche la figlia aveva subito un profondo turbamento e notevole disagio nei rapporti con il padre e con gli amici;

– che il danno era grave in ragione del numero rilevante degli articoli pubblicati, della qualifica (di alto magistrato) del soggetto leso e della diffusione dell’addebito diffamatorio.

L’attore ha concluso perché venisse accertato e dichiarato il carattere falso e diffamatorio degli articoli sopra riportati e, per l’effetto, venissero condannati in solido i convenuti, ciascuno per il rispettivo titolo di responsabilità, al risarcimento dei danni nella misura di € 250.000,00 ovvero nella diversa maggiore o minore misura ritenuta di giustizia, nonché alla riparazione pecuniaria ai sensi dell’art. 12 della legge 8.2.1948 n. 47, da liquidarsi se-condo equità; e perché venisse ordinata la pubblicazione della sentenza sul quotidiano ” ***”, nonché sul sito internet dello stesso e su altri due quotidiani a diffusione nazionale nelle rispettive edizioni on line e cartacee.

Si sono costituiti nel giudizio di primo grado i convenuti, che hanno dedotto la liceità delle pubblicazioni contestate; la sussistenza dei presupposti del diritto di cronaca e di critica; la ovvia risonanza mediatica, conseguenza della sentenza Mediaset, delle intercettazioni telefoniche del processo “Plinius” in cui compariva più volte il nome di Antonio Esposito quale soggetto che in-tratteneva “rapporti” con persone arrestate (e successivamente condannate) per mafia; come fosse inconferente l’allusivo accostamento “politico” alla campagna denigratoria condotta anche dal quotidiano “**”; l’assenza del riferimento a qualsiasi coinvolgimento del giudice nel sodalizio mafioso negli articoli in questione, nei quali si dava atto dell’esistenza di ripetuti e confidenziali rapporti tra l’attore, da un lato, e Pasquale Basile e l’avv. Mario Nocito, dall’altro, emergente dagli atti processuali; il mancato esercizio del diritto di rettifica da parte di Antonio Esposito e l’insussistenza del danno lamentato così come della responsabilità del direttore e dell’editore del giornale.

La causa è stata istruita a mezzo deposito di documentazione e con sentenza n. 3046/2019 dell’11.2.2019 il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha così statuito: “condanna il Quotidiano Il ******, in persona dei legali rappresentanti pt, *** *** e ***, in solido, a corrispondere ad Antonio Esposito, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di euro 30.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza all’effettivo soddisfo;

condanna *** al pagamento, in favore di Antonio Esposito, della somma di euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 12 L. 47/48;

condanna il Quotidiano, in persona dei legali rappresentanti pt, *** *** e *** in solido, al rimborso delle spese di lite in favore di Antonio Esposito, liquidate in euro 6.050,00 per compensi professionali, oltre alle spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge”.

Avverso la suddetta decisione ha proposto appello Antonio Esposito, svolgendo i motivi indicati di seguito.

Si sono costituiti nel presente grado di giudizio la ***, *** *** e ***, che hanno contestato la fondatezza delle censure mosse dall’appellante principale e hanno proposto appello incidentale, svolgendo i motivi di seguito indicati. Questi ultimi de-vono essere esaminati prima di quelli proposti dall’appellante principale in quanto con gli stessi si censura la sussistenza del diritto risarcitorio azionato da Antonio Esposito e riconosciuto dalla decisione impugnata.

2. Con il primo motivo di appello incidentale la *** ***, *** *** e *** censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto gli articoli sopra elencati, a firma di *** e pubblicati sul quotidiano “Il ***”, diffamatori o comunque non in linea con i requisiti per l’esercizio del diritto di cronaca e di critica. In particolare, gli esponenti reputano errata non solo la parte della decisione in cui il giudice monocratico del Tribunale di Roma ha ritenuto di accogliere la domanda di risarcimento danni, ma anche quella parte che ha quantificato i danni subiti da Antonio Esposito operando una valutazione equitativa che non terrebbe in considerazione l’assoluta mancanza di prova riguardo i pre-giudizi asseritamente subiti dallo stesso

Il motivo, sotto entrambi i profili della censura, non merita accoglimento.

Parte appellante in via incidentale deduce che “il giornalista ***, all’esito di un serio e diligente lavoro di inchiesta e disamina di documenti, ha redatto gli articoli oggetto di contestazione, di certo senza alcun intento di porre in essere gratuitamente una campagna denigratoria nei confronti del Dr. Esposito, ma con il solo scopo di rendere edotto il pubblico di notizie di cronaca. Se poi la diffusione della notifica riguardante i ‘rapporti’ tra il Giudice Esposito ed i soggetti arrestati per mafia rappresenti di per se una circostanza che, anche considerata la funzione sociale dell’Attore, possa in quanto tale risultare diffamatoria, non può certamente imputarsi agli odierni appellati, i quali si sono limitati, nel pieno esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, a rappresentare al pubblico dei lettori, quanto emerso dalle migliaia di inter-cettazioni telefoniche depositate nel processo penale Plinius”. In altri termini, gli appellanti in via incidentale deducono che negli articoli indicati da Antonio Esposito, e sopra elencati, risulta rispettato da parte del giornalista il principio di continenza formale nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, oltre a sussistere anche il requisito della c.d. “pertinenza”, ovvero l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, considerati i soggetti coinvolti e la tipo-logia di notizie riportate.

Tuttavia, come ha correttamente ritenuto il giudice di primo grado, anche “il diritto di critica postula la correttezza formale e sostanziale delle espressioni adoperate, la presentazione misurata della notizia, il non superamento dello scopo informativo e la non alterazione del significato dei fatti al fine di corroborare surrettiziamente le opinioni espresse (Cass. civ. 8953/2006; Cass. civ. 22042/16, Cass. civ. 12522/16)”. Nel caso in esame, in cui le circostanze di fatto riportate, ossia la conoscenza e la frequentazione di Antonio Esposito con il Sindaco di Scalea, Pasquale Basile, e con l’avv. Mario Nocito, sono appunto “alterate” dal giornalista al fine di fornire “una immagine dell’Esposito di magistrato parziale, poco raccomandabile, legato da rapporti di amicizia con mafiosi e pertanto moralmente indegno di esercitare la pro-pria funzione”.

Come osserva sempre il giudice monocratico del Tribunale di Roma, “per valutare il corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, occorre far riferimento ‘non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espres-sivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi’ (Cass. civ. 25739/14), dovendosi, anzi, considerare che il titolo ha una particolare forza di richiamo dell’attenzione e rilievo orientativo del lettore spesso proclive ad una lettura sommaria dell’articolo, sì da poter avere di per sé, a prescindere dal contenuto di quest’ultimo, un’autonoma valenza diffamatoria sia per il tenore intrinseco che per la sua efficacia suggestiva (Cass. civ. 7137/2013,11455/2003)”. Nel caso in esame, è soprattutto “dai titoli e sottotitoli” che “emerge una immagine dell’Esposito di magistrato parziale, poco raccomandabile, legato da rapporti di amicizia con mafiosi e pertanto moralmente indegno di esercitare la propria funzione”.

Non assume alcuna rilevanza, allora, che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “l’esercizio del diritto di critica può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore” (Cass. 22.03.2012, n. 4545. Conf. Cass. 16.05.2008, n. 12420). Nel caso in esame non è in discussione, infatti, che tra Antonio Esposito e l’avv. Mario Nocito, ma anche tra il primo e l’ex Sindaco del Comune di Scalea, vi fossero state delle frequentazioni, oltre che contatti telefonici. Piuttosto, rileva che – come ha osservato il giudice di prime cure, in particolare con riferimento all’articolo del 13.12.2013 – “le espressioni utilizzate in prima pagina sono fortemente allusive del coinvolgimento dell’Esposito nell’inchiesta in cui erano indagati soggetti indicati quali suoi “amici””.

In questo senso, allora, si deve intendere quanto ritenuto nella sentenza di primo grado, laddove si afferma che negli articoli contestati Antonio Esposito viene “descritto quale contiguo a soggetti imputati per mafia”, passaggio motivazionale che è oggetto di censura da parte degli odierni appellanti in via incidentale.

La *** ***, *** *** e *** deducono, infatti, che “in alcuno degli articoli in contestazione è stato mai asserito e/o alluso che il Giudice fosse a conoscenza delle condotte dei sog-getti poi arrestati per mafia e/o che il Dr. Esposito fosse compartecipe del sodalizio criminoso, ed anzi, nell’articolo del 10.08.2014 veniva chiarito che ‘il giudice, ovviamente, non compare come persona coinvolta nell’indagine’ (cfr. All. 3 alla memoria ex art. 183 n.2 VI co. controparte)”. La decisione impugnata, tuttavia, non ha ritenuto la responsabilità degli stessi in quanto hanno affermato che Antonio Esposito era a conoscenza delle condotte poste in essere da Pasquale Basile e dall’avv. Mario Nocito e per le quali questi sono stati rinviati a giudizio, e tanto meno per avere riportato che l’attore fosse coinvolto nell’indagine penale da parte della DDA di Catanzaro (che, infatti, ha diffuso una nota per escludere il coinvolgimento di Antonio Esposito). Piuttosto, il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la dedotta lesione della reputazione dell’attore in quanto – come si è detto sopra – la complessiva esposizione dei fatti, soprattutto l’uso della titolazione, tendono a suggerire un coinvolgimento di Antonio Esposito nelle vicende oggetto dell’indagine per associazione a delinquere di stampo mafioso in cui erano indagati soggetti indicati quali suoi “amici”, e che tuttavia lo stesso ne sa-rebbe rimasto fuori in quanto “intoccabile”.

L’applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo, deve essere esclusa, infatti, allorquando ven-gano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni (cfr. Cass. civ., Sez. I, 29.10.2019, n. 27592).

In questa prospettiva diviene irrilevante la contestazione da parte degli appellati-appellanti in via incidentale del passaggio motivazionale della sentenza n. 3046/2019 emessa in data 11.2.2019 dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, secondo cui “le poche telefonate risultanti dai brogliacci prodotti dai convenuti (otto in tutto tra l’Esposito ed il Nocito tra il luglio 2011 ed il maggio 2013, di cui quattro telefonate di auguri, e cinque in tutto tra l’Esposito ed il Basile tra l’ottobre 2010 ed il maggio 2011, di cui una di auguri) in realtà non comprovano rapporti particolarmente confidenziali e frequenti tra gli interlocutori ma piuttosto rapporti di conoscenza e di saltuaria frequentazione e soprattutto non risultano avere alcuna attinenza con il processo “Plinius”, nel quale l’attore non era minimamente coinvolto, come invece il titolo ed il sommario nonché il complessivo tenore dell’articolo lasciano intendere”.

In altri termini, il giudice di primo grado ha escluso che il rapporto di Antonio Esposito tanto con Pasquale Basile quanto con l’avv. Mario Nocito fosse qualificabile come di amicizia, o comunque di assidua frequentazione. Ciò viene contestato, sulla base delle risultanze degli atti del procedimento penale e di quanto riportato negli articoli per cui è causa, dagli odierni appellanti in via incidentale. Tuttavia, tale circostanza non assume rilevanza nell’economia della motivazione della sentenza appellata, al fine di ritenere sussistente la natura diffamatoria di tutti gli articoli indicati dall’attore, una volta che lo stesso giudicante ha ritenuto che, negli stessi, il giornalista non abbia rispet-tato la scriminante della continenza, e non che non sussista la verità dei fatti riportati.

Anche qualora si affermare – come fanno gli odierni appellanti – e non escludere, come ha fatto il giudice di prime cure, che gli imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso fossero “amici” di Antonio Esposito, pari-menti si dovrebbe affermare il carattere diffamatorio degli articoli pubblicati su “***” a firma di ***, sopra indicati.

3. Con il secondo motivo di appello incidentale la Quotidiano *** *** ***, *** *** e *** censurano la sentenza di primo grado per avere condannato gli stessi al risarcimento dei danni in favore di Antonio Esposito senza che, però, questi abbia fornito alcuna prova di aver subito un danno ed erroneamente supplendo a tale mancanza con la liquidazione equitativa dello stesso. In particolare, gli appellanti in via incidentale deducono che “si contesta fermamente la sussistenza e che risulti provato qualsivoglia danno per l’Attore nonché il nesso causale tra il presunto comportamento illecito dei convenuti ed il presunto (ma inesistente) danno subito dal Dr. Esposito, che viene identificato come ‘disagio psicofisico’ (…)” che emergerebbe da talune certificazioni mediche allegate all’atto di citazione e che si contestano fermamente costituendo meri documenti di parte.

Il motivo non merita accoglimento.

Gli appellanti in via incidentale deducono che Antonio Esposito non ha dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, l’asserito danno fisico subito a causa della pubblicazione degli articoli e deducono come non sia plausibile la sussistenza di “un nesso causale tra la pubblicazione degli articoli conte-stati ed i dolori gastrici e addominali asseritamente documentati dall’attore”; e che, “se davvero un turbamento vi fosse stato, e fosse stato grave come assume l’appellante, lo stesso si sarebbe tradotto in ben più gravi sintomi o patologie, del tutto assenti nel caso specifico”. Inoltre, si deduce come non sia stato in alcun modo provato anche un danno morale.

In verità, è esclusivamente quest’ultimo, vale a dire il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto alla reputazione di Antonio Esposito, che il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente e che ha liquidato nella misura di € 30.000,00 con la decisione impugnata.

Nella motivazione della sentenza appellata si legge, infatti, che “Nel caso di specie l’attore ha allegato turbamenti fisici (coliche addominali) della cui effettiva riconducibilità causale alle pubblicazioni in questione non v’è idoneo riscontro nelle certificazioni mediche prodotte, così come non v’è riscontro di specifiche ricadute pregiudizievoli nell’ambito lavorativo nonché nella vita privata e di relazione cagionate dalle condotte diffamatorie subite. Del pari non è risarcibile il danno asseritamente patito dalla figlia dell’attore, siccome estranea al giudizio.

La gravità e la pluralità delle accuse di sostanziale contiguità con ambienti mafiosi consentono però di presumere che le pubblicazioni in questione abbiano leso il diritto fondamentale dell’attore alla reputazione, cagionandogli un danno non patrimoniale. Nel caso in esame, il danno non patrimoniale – accertato in via presuntiva – può essere riconosciuto limitatamente al danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore (turbamento, disagio, imbarazzo, ancorché transitorio) patita a seguito della diffusione degli scritti diffamatori”.

Con riguardo alla liquidazione in via presuntiva del danno non patrimoniale, il giudice monocratico del Tribunale di Roma ha osservato come, sebbene “Il danno non patrimoniale deve comunque essere sempre allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento e la prova può essere data con ogni mezzo”, nel caso in esame, “attenendo il pregiudizio non patrimoniale alla sfera immateriale, ‘il ricorso alla prova presuntiva potrebbe essere destinato ad assumere particolare rilievo ed anche costituire l’unica fonte su cui basare il convincimento del giudice, a condizione tuttavia che il danneggiato alleghi tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti che secondo il principio di regolarità causale, con-sentano di dedurre le conseguenze derivatene’ (cfr. Cass. n.26972/2008 ci-tata e da ultimo Cass. 11059/2009)”.

La prova del danno patrimoniale è stata ritenuta sussistente, dal giudice di prime cure, in via presuntiva, in quanto il pregiudizio all’onore e alla reputa-zione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (cfr. Cass. civ., Sez. VI-3, 31.3.2021, n. 8861; Cass. civ., Sez. III, 26.10.2017, n. 25420). Tali elementi sono stati esaminati dal giudice di prime cure, che ha infatti ritenuto di quantificare il danno in misura di € 30.000,00, avuto riguardo agli stessi, espressamente indicati, e al concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227, co. 1, c.c. (di cui si dirà di seguito). Infatti, nella motivazione della sentenza di primo grado si legge che, “Ai fini della quantificazione di tale danno deve tenersi conto della tiratura media del giornale (circa 50.000 copie nel 2014), della sua diffusione nazionale, della pubblicazione oltre che cartacea anche on line (con conseguente acces-sibilità agli articoli da parte di un numero indeterminato di soggetti), della collocazione delle notizie quasi sempre in prima pagina con conseguente maggiore diffusione delle stesse, essendo le prime pagine dei giornali oggetto delle rassegne stampa delle maggiori testate televisive, della qualità del soggetto leso all’epoca del fatti (presidente di sezione della Suprema Corte)”.

4. Con il terzo motivo di appello incidentale si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha condannato anche *** ***, Direttore responsabile del quotidiano “***”, e la *** *** ***, editrice del quotidiano in questione su cui sono stati pubblicati gli articoli, a firma di ***, ritenuti lesivi della reputazione di Antonio Esposito, al risarcimento del danno in favore di questi.

Nella sentenza di primo grado viene motivata la condanna sia del Direttore responsabile che dell’editore. In particolare, il Tribunale di Roma ha ritenuto che “i convenuti vanno condannati in solido al risarcimento del danno cagio-nato all’attore: ***, in quanto autore degli articoli in questione; *** ***, quale direttore responsabile, ex art. 57 cp, in ragione dell’o-messo controllo nell’ambito dei poteri allo stesso spettanti volti ad impedire la commissione di fatti diffamatori (poteri che non ha dimostrato di aver at-tivato); la società editrice del giornale, in quanto civilmente responsabile con l’articolista della diffamazione, stante l’espressa previsione di cui all’art. 11 l. 47/48”.

Nello svolgere tale censura gli appellanti in via incidentale deducono che, tuttavia, la condanna del Direttore responsabile e dell’editore sia avvenuta “senza però fornire alcun elemento atto a valutare la pretesa gravità delle rispettive colpe per definire l’eventuale incidenza ai fini risarcitori”. In altri termini, censurano la sentenza di primo grado non per avere condannato anche il Direttore responsabile del quotidiano e l’editore dello stesso, ma piuttosto per non avere operato una ripartizione della colpa degli stessi non provvedere alla condanna in solido degli stessi al risarcimento del danno in favore di Antonio Esposito.

Tuttavia, nel costituirsi nel giudizio di primo grado gli odierni appellanti incidentali non hanno chiesto che, in caso di condanna, il Tribunale di Roma procedesse a una graduazione interna della responsabilità tra gli stessi, ed anzi neanche hanno prospettato tale diversa graduazione. “Nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità del danno da fatto illecito imputabile a più persone, il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna. Da ciò deriva che, allorché il presunto autore di un fatto illecito – convenuto in giudizio unitamente ad altri, perché ritenuto responsabile, in solido con questi, dell’evento dannoso lamentato dall’attore – neghi la propria responsabilità in ordine al verificarsi dell’evento denunziato, detto convenuto non propone, nei confronti degli altri convenuti, alcuna domanda, ma si limita a svolgere – ancorché assuma che, in realtà, gli altri convenuti sono responsabili esclusivi del fatto – delle mere difese, al fine di ottenere il rigetto, nei suoi confronti, della domanda attrice. Affinché tali argomentazioni esulino dall’ambito delle mere difese ed integrino, ai sensi degli artt. 99 e segg. cod. proc. civ., delle “domande”, nei riguardi degli altri presunti responsabili, con il conseguente instaurarsi tra costoro di un auto-nomo rapporto processuale (diverso e distinto rispetto a quello tra il dan-neggiato e i singoli danneggiati) è, invece, indispensabile che il suddetto convenuto richieda espressamente, ancorché in via gradata e subordinatamente al rigetto delle difese svolte in via principale, l’accertamento della per-centuale di responsabilità propria e altrui in relazione al verificarsi del fatto dannoso, domanda questa che, non potendosi ritenere implicita nella mera richiesta svolta nei confronti del solo attore di rigetto della sua domanda, non può essere introdotta, all’evidenza, per la prima volta in giudizio in grado di appello, né, a maggior ragione, in sede di giudizio di legittimità” (così Cass. civ., Sez. III, 29.4.2006, n. 10042).

5. Con il primo motivo di appello Antonio Esposito deduce la violazione da parte della sentenza di primo grado dei principi enunciati dalla Suprema Corte in tema di valutazione dell’entità del danno e dei criteri per la liquida-zione del danno da diffamazione a mezzo stampa contenuti nelle tabelle dell’Osservatorio del Tribunale di Milano e, quindi, censura la liquidazione in € 30.000,00 del danno patito dallo stesso a seguito della condotta illecita posta in essere dai convenuti (odierni appellati). In particolare, l’appellante deduce che, avuto riguardo ai criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della quantificazione dei danni: gravità del fatto lesivo, pluralità degli articoli che ha integrato una violenta, prolungata campagna di stampa diffamatoria, qualità del soggetto leso, diffusione dell’addebito diffamatorio – (ivi comprese le modalità espositive costituite dalla presentazione in prima pagina di titoli a caratteri cubitali, presentazione degli articoli a piena pagina accompagnata da foto) – gravissimo pregiudizio subito dal diffamato, intensità del dolo, e tenuto conto anche dei criteri indicati dall’Osservatorio del Tribunale di Milano, la diffamazione ai danni di Antonio Esposito da parte del quotidiano “***” deve ritenersi di “eccezionale gravità”. Ne consegue che l’importo di € 250.000,00 richiesto a titolo risarcimento del danno da diffamazione per i dodici tra titoli e articoli cartacei, e otto articoli on line, è da ritenersi congruo e proporzionato alla gravità della lesione e del danno.

Il motivo è fondato nei termini indicati di seguito.

Il giudice di primo grado, dopo avere ritenuto diffamatori gli articoli pubblicati sul quotidiano “***” a firma di ***, nonché sul sito internet del medesimo quotidiano, nel procedere alla liquidazione del danno in favore di Antonio Esposito, ha ritenuto che, “Ai fini della quantificazione di tale danno deve tenersi conto della tiratura media del giornale (circa 50.000 co-pie nel 2014), della sua diffusione nazionale, della pubblicazione oltre che cartacea anche on line (con conseguente accessibilità agli articoli da parte di un numero indeterminato di soggetti), della collocazione delle notizie quasi sempre in prima pagina con conseguente maggiore diffusione delle stesse, essendo le prime pagine dei giornali oggetto delle rassegne stampa delle maggiori testate televisive, della qualità del soggetto leso all’epoca del fatti (presidente di sezione della Suprema Corte). Va, altresì, considerato il man-cato esercizio della rettifica da parte dell’attore, che in quanto suscettibile di attenuare il danno, determina una diminuzione del risarcimento, ai sensi dell’art, 1227 co 1 cc”.

Non è possibile affermare, allora, che la decisione impugnata non contenga alcuna menzione dei criteri di quantificazione del danno indicati dalla giurisprudenza di legittimità, e quindi dall’Osservatorio di Milano.

Parte appellante censura tale motivazione sia nella parte in cui, alla luce degli elementi pure indicati, ha quantificato il danno patito da Antonio Esposito in soli € 30.000,00, a fronte di una domanda di liquidazione del danno in misura di € 250.000,0; sia nella parte in cui ha ritenuto un concorso di colpa del danneggiato nella causazione del danno, e quindi ha proporzionalmente diminuito il risarcimento spettante allo stesso, in ragione del mancato eser-cizio del diritto di rettifica.

Il giudice di primo grado, dunque, non ha liquidato € 30.000,00 “per n° 12 tra titoli e articoli cartacei e n° 8 articoli on-line sia assolutamente incongrua, iniqua e non sembra neanche lontanamente rispettare i parametri indicati dalla Corte di Cassazione e dei criteri del Tribunale di Milano, attesa la estrema gravità della lesione – (da un lato: parzialità, faziosità del magistrato; dall’altro: contiguità del Presidente di sezione di Cassazione con ambienti mafiosi) – e attesa la molteplicità delle pubblicazioni tale da integrare una vera e propria campagna di stampa, e attesi, altresì, la qualità della persona offesa, il suo ruolo istituzionale e la sua posizione sociale, e il grave pregiu-dizio subito a seguito delle infamanti accuse, e, infine, la intensità del dolo desumibile dalla reiterazione nel *** degli articoli censurati che, complessivamente valutati, appaiono rispondere ad una tanto precisa quanto callida linea editoriale di natura gratuitamente diffamatoria”. Il Tribunale di Roma ha piuttosto ritenuto che questa liquidazione debba essere effettuata avuto riguardo al concorso di Antonio Esposito nella causazione del danno, e segnatamente proprio avuto riguardo alla reiterazione della condotta dannosa posta in essere dai convenuti e dell’incidenza, anche sulla stessa, della con-dotta del danneggiato, che non ha esercitato il diritto di rettifica.

Questo giudicante deve valutare, dunque, dapprima se è ravvisabile il dedotto concorso di responsabilità del danneggiato, come ritenuto dal giudice di prime cure (che, pure, non ha indicato in quale misura lo stesso abbia inciso nella causazione del danno dedotto), e quindi valutare se la liquidazione operata sia incongrua.

Ciò chiarito, con riguardo al mancato esercizio del diritto di rettifica da parte di Antonio Esposito, parte appellante deduce che “Si tratta di un’affermazione generica del giudicante che non accerta, né indica se, in che termini e in che misura, la rettifica che avrebbe determinato un effettivo contenimento dei danni, in presenza di una violenta e perdurante campagna di stampa devastante per l’immagine e la reputazione del dr. Esposito e continuata, come si è visto, anche dopo il comunicato stampa della DDA di Catanzaro – (del 20/12 e, quindi, dopo sei giorni dalla pubblicazione del primo articolo) – con cui si rappresentava la totale estraneità al processo ‘Plinius’ dell’attore e l’assenza di rilievo, sia penale che deontologico, delle conversazioni tra l’avv. Nocito e il dr. Esposito; eppure, dopo tale autorevole e pregnante smentita, di cui non è mai stato fatto cenno alcuno nei successivi articoli, il giornalista ha continuato imperterrito a scrivere articoli che prospettavano un coinvolgimento del dr. Esposito nei fatti di quel processo e a scrivere di colloqui <<scomodi>> e di <<favori>> agli <<amici mafiosi>>”

In verità, piuttosto che la rilevanza del comunicato stampa della DDA di Catanzaro in data 20.12.2012, che ha escluso un coinvolgimento di Antonio Esposito nel processo “Plinius”, in cui erano invece indagati i due “amici” di questi, ad assumere rilevanza al fine di escludere una qualche incidenza sul danno patito del mancato esercizio del diritto di rettifica da parte di Antonio Esposito è che i fatti riportati negli articoli, vale a dire la conoscenza da parte di questi con Pasquale Basile, Sindaco di Scalea, e con l’avv. Mario Nocito, non costituisce una circostanza falsa, e quindi non poteva essere oggetto di rettifica. Così come non poteva essere oggetto di rettifica il contenuto delle conversazioni telefoniche riportato negli articoli per cui è causa. Come si è detto sopra, nel caso in esame la natura diffamatoria degli articoli, indicati dall’attore con l’atto introduttivo del giudizio, non è stata ritenuta per mancanza della verità di quanto riportato negli stessi, ma piuttosto – correttamente – per violazione della continenza in senso sostanziale, avuto riguardo soprattutto alla titolazione, in cui i fatti sono stati riportati con toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie altrimenti neutre e alle vere e proprie insinuazioni.

Nel caso in esame, dunque, il danno patito da Antonio Esposito non poteva essere diminuito qualora lo stesso avesse esercitato alcuna smentita o il di-ritto di rettifica.

Ciò chiarito, ad avviso di questa Corte, nel caso in esame ricorrono tutti i presupposti per ritenere, secondo i criteri elaborati dall’Osservatorio del Tribunale di Milano, che il caso in esame debba essere ricondotto alle “diffa-mazioni di eccezionale gravità: danno liquidabile in importo superiore ad € 50.000,00”, vale a dire “più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano a diffusione nazionale)”, “soprattutto se la relativa diffusione è avvenuta”, “anche con edizione on-line del giornale”; “collocazione degli articoli e dei titoli nonché spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dell’articolo”; “elevata carica pubblica e ruolo istituzionale e professionale ricoperta dal diffamato”; “notevole gravità del discredito”; “uti-lizzo di espressioni dequalificanti”; “elevato pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale”; “elevata intensità dell’ele-mento soggettivo”.

Il giudice di primo grado ha motivato in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi sopra indicati, con la sola eccezione – a ben considerare – della “notevole gravità del discredito” conseguente all’avere inteso fornire di An-tonio Esposito l’immagine di un frequentatore di mafiosi o ambienti legati in qualche modo alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Infatti, nella motivazione della decisione impugnata, sopra riportata, viene dato atto, nel procedere alla liquidazione del danno spettante all’attore, “della tiratura me-dia del giornale (circa 50.000 copie nel 2014), della sua diffusione nazionale, della pubblicazione oltre che cartacea anche on line (con conseguente accessibilità agli articoli da parte di un numero indeterminato di soggetti), della collocazione delle notizie quasi sempre in prima pagina con conseguente maggiore diffusione delle stesse, essendo le prime pagine dei gior-nali oggetto delle rassegne stampa delle maggiori testate televisive, della qualità del soggetto leso all’epoca del fatti (presidente di sezione della Suprema Corte)”.

Non si tiene adeguatamente conto, tuttavia, della particolare gravità della condotta posta in essere dai convenuti, tanto più avuto riguardo al fatto che il danneggiato è un magistrato, indicato come amico di “mafiosi”, e quindi – come rileva il giudice di primo grado – intendendo alludere che fosse “moralmente indegno di esercitare la propria funzione”, quella nell’esercizio della quale ha “silurato” o “eliminato” o “fatto fuori” l’on. Silvio Berlusconi dalla vita politica. Come ha ritenuto la Suprema Corte, “l’attribuzione ad un magi-strato di comportamenti sleali e incompatibili con la sua funzione (…) comporta la negazione dello stesso ruolo istituzionale assegnato al magistrato, colpendo la persona/magistrato e negando la sua stessa identità professionale, con l’aggravamento del pregiudizio sofferto”, confermando, pertanto, la congruità di “una notevole somma risarcitoria in favore di un giudice og-getto di diffamazione a mezzo stampa” (così Cass. civ., Sez. III, 5.3.2013 n. 5383).

Nella liquidazione del danno non si può non tenere conto, poi, della molteplicità, pervasività e persistenza degli articoli diffamatori, considerata anche dal giudice di primo grado, i quali hanno configurato una vera e propria preordinata e violenta campagna di stampa, che si è protratta per numerosi mesi (circa due anni), con la pubblicazione di articoli diffamatori finalizzata a distruggere nell’opinione pubblica, o quanto meno nei lettori del quotidiano “***”, l’immagine, l’onore, il decoro e la reputazione, anche professio-nale, di Antonio Esposito. Si è in presenza, infatti, di una campagna di stampa quando, come nel caso di specie, articoli, già di per sé stessi diffamatori, vengano inseriti in un contesto di pubblicazioni, cronologicamente e teleo-logicamente collegate in modo tale che la portata offensiva dell’una si pro-paghi alle altre. Si determina, in tal caso, “un aggravamento della posizione del diffamato” di cui si deve tenere conto nella quantificazione del danno (cfr. Cass. civ., Sez. III, 25.5.2017, n. 13153).

Quanto sopra indicato è sufficiente a ritenere non congrua la liquidazione operata dal giudice di primo grado, senza che sia necessario valutare che il pregiudizio arrecato ad Antonio Esposito sia ancora maggiore qualora si consideri che “il dr. Esposito era, da anni, impegnato in una decisa azione di contrasto contro la criminalità organizzata ed, in particolare, contro la ‘drangheta’ anche dell’Alto Cosentino Tirreno, e ciò sia con la celebrazione di gravi ed importanti processi di criminalità organizzata sia per la partecipazione a Convegni tenuti anche in Calabria in cui è stato relatore in tema di strategie antimafia, sia per la qualità di Presidente onorario dell’Associazione Antima-fia Caponnetto”. Come rilevato dallo stesso appellante in via principale, dei convegni di cui è stato relatore e dei riconoscimenti di cui è stato insignito viene fatto esclusivamente un elenco alle pagg. 53 – 55 dell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, ma non viene fornita alcuna prova, mediante la produzione delle relative locandine, degli inviti o di altro, che attesti l’effettivo espletamento degli stessi e la partecipazione a tali iniziative dell’odierno appellante.

A fronte di quanto sopra esposto, nel caso in esame, valutato che si è in presenza di una diffamazione di eccezionale gravità, in cui dunque deve essere liquidato un danno in misura superiore a € 50.000,00, secondo i criteri elaborato dall’Osservatorio di Milano e richiamati da parte appellante, è con-gruo liquidare in favore di Antonio Esposito la somma di € 75.000,00.

Nella liquidazione del danno in tale misura si deve avere riguardo – ad avviso di questo giudicante – a quanto si è detto sopra in ordine alla realizzazione della diffamazione ai danni dell’odierno appellante principale, vale a dire al difetto di continenza in senso sostanziale, soprattutto mediante l’uso di titolo allusivi a un diretto coinvolgimento di Antonio Esposito nel processo in cui erano imputati il Sindaco di Scalea e l’avv. Mario Nocito. In altri termini, nella liquidazione, necessariamente in via equitativa sulla base di elementi presun-tivi (come si è detto sopra), che sono quelli indicati dal giudice di primo grado e, inoltre, la “notevole gravità del discredito” , non si può non considerare, tuttavia, come le circostanze di fatto riportate negli articoli a firma di *** siano vere, e che proprio per questo si è ritenuto irrilevante l’esercizio da parte del danneggiato il diritto di rettifica delle stesse (come pure si è detto sopra). Ciò impone che nella liquidazione del risarcimento spettante ad Antonio Esposito, pur dovendosi riconoscere allo stesso una somma superiore a € 50.000,00, come dedotto dallo stesso nel proporre appello, non sia però possibile accedere non soltanto alla liquidazione nella misura di € 250.000,00 richiesta dall’appellante (già nell’introdurre il giudizio di primo grado), ma neanche a una liquidazione superiore alla misura di € 75.000,00 sopra indicata.

Non vi è impugnazione in ordine alla decorrenza degli interessi riconosciuta dal giudice di primo grado, che è quella della pubblicazione della decisione assunta dal Tribunale di Roma.

6. Antonio Esposito censura la sentenza di primo grado anche nella parte in cui ha condannato il giornalista autore di tutti gli articoli per cui è causa, ***, a pagare la somma di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 12 della legge 8.2.1948, n. 47, deducendo come, in conseguenza della maggiore liquidazione del danno non patrimoniale in favore dello stesso (censura accolta da questa Corte, come si è detto sopra), “dovrà es-sere aumentato secondo l’equa valutazione della Corte, tenuto conto degli elementi sopra indicati”.

Anche tale censura merita accoglimento. L’art. 12 della legge n. 47/1948, rubricato “Riparazione pecuniaria”, pre-vede che “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è de-terminata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”. Gli stessi Costituenti, nei lavori preparatori (si tratta, infatti, di una legge approvata dall’Assemblea costituente), hanno sottolineato come la ri-parazione pecuniaria sia “un’aggiunta” ai danni patrimoniali e non patrimoniali eventualmente causati dalla diffamazione, sicché la previsione troverebbe la sua giustificazione nella volontà di “rendere più sensibili le conse-guenze per l’offensore della diffamazione libellistica”. Tale sanzione è stata definita dai medesimi Costituenti come una “pena privata”.

Ciò chiarito, la diversa valutazione della gravità della diffamazione perpetrata ai danni di Antonio Esposito con gli articoli sopra riportati, tutti a firma di ***, e la liquidazione – con la presente sentenza – nella misura di € 75.000,00 del danno patito dall’odierno appellante, porta a rimodulare anche la condanna del giornalista ai sensi della suddetta disposizione, e se-gnatamente a determinare nella misura di € 7.500,00 la sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12 della legge n. 47/1948 che il suddetto giornalista deve corrispondere ad Antonio Esposito.

7. Con il secondo motivo di appello Antonio Esposito censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato la domanda dello stesso volta a conseguire la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 120 c.p.c., avendo ritenuto il Tribunale di Roma che “considerato il *** trascorso dall’ultima pubblicazione e l’avvenuto pensionamento dell’attore, si ritiene che l’importo liquidato a titolo di risarcimento sia completamente satisfattivo delle ragioni dell’Esposito rendendo ultronea la suddetta pubblicazione”. In particolare, l’appellante deduce come “Si è in presenza (…) di un *** ‘normale’ per una causa civile e numerosissime sono le sentenze in cui è stata disposta la pubblicazione di essa dopo che era trascorso un analogo, o addirittura più lungo, periodo di *** rispetto a quello in questione”; e come, in ogni caso, la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto che “la sentenza di condanna per diffamazione è sempre passibile di pubblicazione a prescindere dal maggiore o minore lasso di *** trascorso rispetto all’epoca dei fatti”.

Il motivo è fondato.

Come ha avuto modo di osservare la Suprema Corte (sia pure in sede penale ma con esplicito riferimento all’art. 120 c.p.c.), “la sentenza di condanna per diffamazione è sempre passibile di pubblicazione a prescindere dal maggiore o minore lasso di *** trascorso rispetto all’epoca dei fatti” (così Cass. civ., Sez. III, 20.12.2001, n. 16078). In motivazione, i giudici di legittimità hanno precisato che l’assunto della Corte di Appello circa la “mancanza del requi-sito dell’attualità non era logicamente rapportabile” alle finalità dell’art. 120 c.p.c. dal momento che la pubblicazione può contribuire a riparare il danno “in qualunque momento essa intervenga”; e ha aggiunto: “oltretutto, pen-sandola diversamente si finirebbe con il premiare, nel senso di negare il ri-medio de quo, il comportamento in ipotesi ostruzionistico e dilatorio del danneggiante”.

Merita censura, dunque, la decisione del giudice di primo grado laddove ha escluso la pubblicazione della sentenza in ragione del lungo *** trascorso dai fatti, vale a dire dalla pubblicazione degli articoli diffamatori ai danni di Antonio Esposito. Del pari, merita censura la valutazione del giudice di primo grado per cui il pensionamento dell’attore, uscito dunque dall’Ordine giudi-ziario, renda non idonea a risarcire il danno patito dallo stesso la pubblica-zione della sentenza.

La pubblicazione della sentenza contribuisce a una più puntuale riparazione del danno ed a rimuovere il discredito gettato su un soggetto ed alla ricostruzione di una sua immagine, gravemente deteriorata dai diffamatori arti-coli pubblicati, di continuo, per circa due anni. Non è possibile, allora, escludere il diritto di Antonio Esposito a conseguire il ristoro del danno conseguente alla pubblicazione della sentenza per il solo fatto che lo stesso sia in pensione, circostanza che non incide sui criteri di valutazione del danno, che devono avere riguardo alla situazione al momento della condotta illecita, ma neanche sulla funzione propria della pubblicazione, avuto riguardo al ristoro di un danno già arrecato e non inciso dal pensionamento dello stesso, come anche dal decorso del ***.

E neanche incide sulla pubblicazione della sentenza il riconoscimento in favore di Antonio Esposito del risarcimento del danno non patrimoniale. La pubblicazione costituisce una “sanzione autonoma diretta a portare a cono-scenza del pubblico la reintegra del diritto offeso” (cfr., seppure con riguardo ad altra fattispecie, Cass. civ., Sez. I, 18.11.1998, n. 11603) e, quindi, a modificare lo stato di fatto lesivo dei diritti della personalità. Come ha avuto modo di osservare la Suprema Corte, la pubblicazione della sentenza costi-tuisce “una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento per equivalente al fine di assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, l’integrale riparazione del danno, al fine di rimuovere il di-scredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica” (così Cass. civ. Sez. I, 21.1.2016, n. 1091).

In particolare, “trattandosi di una sanzione autonoma che, grazie alla cono-scenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, la pubblicazione assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all’ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell’illecito nel futuro (Cass. n° 6226/2013; n° 1982/2003; n° 564/1995)”. Aggiunge il Supremo Collegio che “si spiega dunque perché una parte della dottrina abbia inteso questa misura come diretta non specificamente a riparare il danno, ma a tutelare l’interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà”.

Conseguentemente, in accoglimento del secondo motivo di appello proposto da Antonio Esposito, la sentenza di primo grado, così come anche la presente sentenza, devono essere pubblicate per estratto, per una volta, a cura e spese degli odierni appellati, in solido tra loro, sul quotidiano “***”, sia nell’edizione cartacea che in quella on line, e su un altro quotidiano a diffusione nazionale, che si individua ne “Il Corriere della Sera”, anche in questo caso sia sull’edizione cartacea che in quella on line.

8. Con il terzo motivo di appello Antonio Esposito censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato “inammissibile” la domanda dell’attore di inserimento nella pagina on line in cui gli articoli sono riportati, di un link con il richiamo al dispositivo della sentenza, ritenendo erronea-mente che essa era stata “espressamente formulata per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni”. In particolare, parte appellante deduce come la decisione del Tribunale di Roma sia sul punto errata in quanto già con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado è stato chiesto l’inserimento di un link di rinvio al dispositivo dell’emananda sentenza, e quindi ribadito tale richiesta con le conclusioni rassegnate con la propria memoria ex art. 183, co. 6, n. 1) c.p.c.

Il motivo è fondato.

A pag. 67 dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado si legge: “si evidenzia che ancora oggi gli articoli sono fruibili in Internet tramite una semplice ricerca nell’archivio storico presente nel sito de *** online e sul sito web del giornalista (Sul punto, si chiede sin da ora che sia inserito nella pagina online in cui gli articoli sono riportati, un link con il richiamo al dispositivo dell’emananda sentenza”. Nella memoria ex art. 183, co. 6, n. 1), c.p.c. si è ulteriormente puntualizzato che “si deve tener conto, che la diffusione degli articoli, oltre che su supporto cartaceo, è avvenuta anche tramite Internet, sul sito online de *** ed ha raggiunto, in brevissimo ***, un numero elevatissimo di destinatari in ogni angolo del mondo, quindi ben al di là dei confini nazionali”, richiamando giurisprudenza in termini (v. pagg. 40 e 41).

Secondo l’elaborazione della giurisprudenza di merito, è “dovere” dell’editore di un quotidiano, su precisa richiesta della persona interessata, aggiornare sull’archivio on line un articolo ritenuto in via definitiva diffamatorio, attivare un collegamento automatico (un link, appunto) che, in caso di consultazione dell’articolo, consenta all’utente la lettura integrale quantomeno della decisione che ha accertato la diffamazione. Tale orientamento si basa su quanto stabilito dalla Suprema Corte, secondo cui, “se il passaggio dei dati all’archivio storico è senz’altro ammissibile, ai fini della liceità e della correttezza del relativo trattamento e della relativa diffusione a mezzo della rete internet, è indefettibilmente necessario che l’in-formazione e il dato trattato risultino debitamente integrati e aggiornati”. Ne consegue che nell’archivio on line e accessibile via internet “la notizia non può continuare a risultare isolatamente trattata e non contestualizzata in re-lazione ai successivi sviluppi della medesima. Ciò al fine di tutelare e rispet-tare la proiezione sociale dell’identità personale del soggetto”. Inoltre, in mancanza del richiesto aggiornamento la notizia risulterebbe “par-ziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera”. Ciò, a maggior ragione, quando si tratta di un articolo giudicato definitivamente diffamatorio e il cui inserimento in un archivio accessibile sul web “non pone un problema di pubblicazione o ripubblicazione dell’informazione, quanto bensì di permanenza della medesima nella memoria della rete internet e, a monte, nell’archivio del titolare del sito sorgente”. E poiché “il fondamento del diritto all’aggiornamento della notizia risiede, in definitiva, nell’interesse di rilievo costituzionale alla tutela dell’identità personale o morale del singolo nella sua proiezione sociale” – tutela “ancor più pressante ed evidente nel caso di un articolo diffamatorio”, sia che si tratti di persona o ente – l’editore deve, su espressa richiesta dell’interessato, aggiornare la notizia in archivio inse-rendo un link che “riporti testualmente il dispositivo della sentenza irrevoca-bile” (così App. Milano, 27.1.2014, in Foro it., 2014, I, 2612-2618).

Secondo la Cassazione, dunque, qualora la notizia sia reperibile in un archi-vio storico messo a disposizione via internet, il titolare dell’organo di informazione “è tenuto ad osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza dell’informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il lecito trattamento, nonché a garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale, nonché a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere una corretta e completa informazione, non essendo a riguardo sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del ‘mare di internet’ ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato (…), consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento” (così Cass. civ., Sez. III, 5.4.2012, n. 5525).

Pertanto, in accoglimento del terzo motivo di gravame proposto da Antonio Esposito, deve essere riformata la sentenza di primo grado anche nella parte in cui ha omesso di statuire sulla richiesta degli attori la *** *** *** ad attivare nell’archivio storico delle notizie pubblicate sul quotidiano “***”, disponibile sul sito internet di tale quotidiano, in corrispondenza degli articoli indicati in parte motiva (nel paragrafo 1.), un collegamento automatico (link) che, in caso di consultazione degli articoli in questione, consenta all’utente la lettura integrale dell’intestazione e del dispositivo della sentenza di primo grado, con cui è stata riconosciuta la natura diffamatoria della stessa, nonché nell’intestazione e nel dispositivo della presente sentenza, che ha disposto – tra l’altro – tale inserimento.

In ragione di quanto si è detto sopra in ordine alla funzione di quanto deve essere disposto, tale statuizione potrà trovare esecuzione soltanto qualora la stessa diventi definitiva.

9. In conclusione, mentre deve essere rigettato l’appello incidentale proposto dalla *** *** ***, da *** *** e da *** avverso la sentenza n. 3046/2019 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, l’11.2.2019, deve essere accolto l’ap-pello principale proposto da Antonio Esposito e, in parziale riforma della suddetta decisione di primo grado, la, *** *** e *** devono essere condannati, in solido tra loro, a corrispondere ad Antonio Esposito la somma di € 75.000,00, in luogo di quella di € 30.000,00 liquidata dal giudice di primo grado. Inoltre, *** deve essere condannato a corrispondere ad Antonio Esposito la somma di € 7.500,00 a titolo di sanzione di cui all’art. 12 della legge n. 47/1948 e la Quotidiano*** *** *** deve essere condannata ad attivare nell’archivio storico delle notizie pubblicate sul quotidiano “***”, disponibile sul sito internet di tale quotidiano, in corrispondenza degli articoli indicati in parte motiva (nel paragrafo 1.), un collegamento automatico (link) che, in caso di consultazione degli articoli in questione, con-senta all’utente la lettura integrale dell’intestazione e del dispositivo della sentenza di primo grado, con cui è stata riconosciuta la natura diffamatoria della stessa, nonché nell’intestazione e nel dispositivo della presente sen-tenza, che ha disposto anche tale inserimento. Infine, deve essere disposta la pubblicazione della sentenza di primo grado, per estratto, nonché della presente sentenza, sempre per estratto, sul quotidiano “Il ***”, sia nella versione cartacea che in quella on line, e sul quotidiano “Il Corriere della sera”, parimenti sia nella versione cartacea che in quella on line, a cura e spese degli odierni appellati-appellanti in via incidentale.

In base al principio fissato dall’art. 336, co. 1, c.p.c., secondo cui la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), la riforma, anche parziale, della sen-tenza di primo grado determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice di appello, di provvedere d’ufficio a un nuovo regolamento delle stesse (cfr. Cass. civ., Sez. III, 29.10.2019, n. 27606; Cass. civ., Sez. IV-3, 24.1.2017, n. 1775; Cass. civ., Sez. L, 22.12.2009, n. 26985; Cass. civ., Sez. III, 11.6.2008, n. 15483; Cass. civ., Sez. III, 5.6.2007, n. 13059). Nel caso in esame, la diversa e maggiore liquidazione del danno non patrimoniale operata con la presente sentenza, ri-spetto a quanto disposto con la decisione appellata, determina la necessità di procedere da parte di questo giudicante a una nuova liquidazione delle spese del giudizio di primo grado in quanto i compensi sono stati determinati con riguardo al valore compreso tra € 26.000,01 ad € 52.000,00.

Avuto riguardo alla diversa fascia compresa tra € 52.000,01 ed € 260.000,00, le spese del giudizio di primo grado devono essere liquidate, con la presente sentenza e quale conseguenza della riforma parziale della sentenza di primo grado, nella diversa misura indicata in dispositivo, in riforma della sentenza di primo grado.

Anche le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

La Corte deve dare atto, con la presente sentenza, della sussistenza dei pre-supposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, intro-dotto dall’art. 1, co. XVII, della legge 24.12.2012, n. 228 con riguardo agli appellanti in via incidentale.

P.Q.M.

La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza disattesa, così provvede:

rigetta l’appello proposto dalla, da *** *** e da avverso la sentenza n. 3046/2019 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, l’11.2.2019;

accoglie l’appello proposto da Antonio Esposito avverso la sentenza n. 3046/2019 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, l’11.2.2019 e, per l’effetto, in parziale riforma della stessa:

-condanna la *** e***, in solido tra loro, a pagare ad Antonio Esposito la somma di € 75.000,00 (settantacinquemila/00), oltre interessi al tasso legale dall’11.2.2019 all’effettivo pagamento;

-condanna *** a pagare in favore di Antonio Esposito la somma di € 7.500,00 (settemilacinquecento/00) a titolo di sanzione pecuniaria di cui all’art. 12 della legge n. 47/1948;

-condanna la Quotidiano *** *** ***, *** *** e **, in solido tra loro, alla pubblicazione sul quotidiano “ ***”, sia nell’edizione cartacea che in quella on line, nonché su “Il Corriere della Sera”, parimenti sia nell’edizione cartacea che in quella on line, di un estratto della sentenza di primo grado e della presente sentenza di appello;

-condanna la *** *** *** ad attivare nell’archivio storico delle notizie pubblicate sul quotidiano “***”, disponibile sul sito internet di tale quotidiano, in corrispondenza degli articoli indicati in parte motiva (nel paragrafo 1.), un collegamento automatico (link) che, in caso di consultazione dell’articolo, consenta all’utente la lettura integrale dell’intestazione e del dispositivo della sentenza di primo grado, con cui è stata riconosciuta la natura diffamatoria della stessa, nonché dell’intestazione e del dispositivo della presente sentenza;

-condanna la *** *** ***, *** *** e ***, in solido tra loro, a rimborsare ad Antonio Esposito le spese del primo grado di giudizio, che liquida in € 14.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. nella misura di legge;

conferma nel resto la sentenza di primo grado;

condanna la Quotidiano ** *** ***, *** *** e **, in solido tra loro, a rimborsare ad Antonio Esposito le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 14.000,00 per com-pensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. nella misura di legge;

dà atto che, per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002 con riguardo agli appellanti in via incidentale.

Roma, 22.1.2024

IL PRESIDENTE Benedetta Thellung de Courtelary

IL GIUDICE EST Mario Montanaro

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