Perentorietà dei termini per la conclusione del procedimento concessorio

Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza 16 giugno 2006, n. 3555

pubblicata su

La vicenda giudiziaria, decisa dal Consiglio di Stato, trae origine da un ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania proposto da una confinante (C.C.) per l’annullamento del permesso di costruire un impianto per la balneazione e l’elioterapia rilasciato al vicino (al R.).

Per il rilascio, stante l’inerzia dell’Amministrazione comunale, era stato fatto intervenire il Commissario ad acta, nominato dal Presidente della Provincia di Napoli, ai sensi dell’art. 4 della legge regionale della Campania n. 19, del 28 novembre 2001.

Il ricorso era stato accolto dai giudici di primo grado in quanto avevano ritenuto “ingiustificato” l’intervento dell’amministrazione provinciale, “dal momento che l’ordinario procedimento per il rilascio della concessione edilizia, alla data della nomina del Commissario ad acta, era ancora in fase di svolgimento”:

Prova ne era, per il Tribunale amministrativo, “la circostanza che, a seguito di una frana (del 27 luglio 2003), l’amministrazione comunale aveva disposto una consulenza allo scopo, tra l’altro, di verificare la compatibilità tra la realizzazione dell’impianto del R. e le caratteristiche geologiche della zona”.

Con l’appello al Consiglio di Stato, proposto da R contro la decisione di primo grado (sentenza n. 1872/2005), è stata chiesta la riforma della impugnata sentenza col rigetto del ricorso di prima istanza.

In primo luogo, l’appellante censura la sentenza impugnata per “error in procedendo ed error in indicando”, avendo i giudici di prima istanza omesso di pronunziarsi sulle eccezioni preliminari di inammissibilità e/o improcedibilità.

Nel giudizio davanti al T.A.R Campania era stata infatti dedotta la carenza di interesse della confinante (C. C.) all’annullamento del provvedimento impugnato.

Con il secondo motivo di appello è stata poi dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 della legge regionale Campania 28 novembre 2001, n. 19, violazione dell’articolo 4 del D.L. n. 398/1993, violazione del testo unico sull’edilizia DPR n. 380/2001.

Violazione del testo unico perché, in realtà, come sarà meglio precisato, la possibilità di far intervenire il commissario ad acta, oltre che a livello regionale, è prevista dall’articolo 21 (che ha inglobato l’articolo 4 del D.L. n. 398/1993) del testo unico sull’edilizia (D.P.R. 6-6-2001 n. 380).

Tale intervento è previsto “in caso di mancata adozione, entro i termini previsti dall’articolo 20, del provvedimento conclusivo del procedimento per il rilascio del permesso di costruire”,

La controinteressata C. C., resistendo davanti al Consiglio di Stato con “memoria di costituzione ed appello incidentale condizionato”, oltre ai (diversi) motivi di censura proposti in primo grado, ha fatto pure valere l’eccezione di improcedibilità dell’appello per asserita sopravvenuta carenza di interesse.

In particolare, ha evidenziato il fatto che le opere eseguite dall’appellante erano state realizzate in difformità al permesso di costruire, motivo per il quale era stato disposto dal Comune il ripristino dello stato dei luoghi.

La sentenza in commento decide quindi, ritenendole infondate, su diverse censure sollevate con l’appello incidentale (competenza al rilascio dell’autorizzazione paesistica, compatibilità dell’intervento con le previsioni del piano regolatore del comune e con il piano territoriale paesistico), ma i punti sui quali si focalizza l’interesse della decisione, come è stato bene evidenziato dalla redazione di Altalex nel titolo, sono: a) l’interesse a ricorrere e quindi la tutela giurisdizionale in materia di titoli edilizi rilasciati a terzi; b) i termini del procedimento concessorio e la loro scadenza; c) la legittimità dell’intervento del commissario ad acta nel caso di silenzio-rifiuto con l’inutile decorso del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo.

Quanto alla iniziale eccezione di improcedibilità dell’appello è stata preliminarmente respinta perché “il fatto che le opere eseguite dall’appellante siano state realizzate in difformità al permesso di costruire e che sia stato disposto dal Comune il ripristino dello stato dei luoghi, non fa venir meno l’interesse del R. alla definizione del presente giudizio, dal momento che le indicate evenienze, anche a volerle date per ammesse, sono successive al rilascio del permesso di costruire cui si riferisce il presente giudizio”.

Del resto, come il Consiglio di Stato aveva stabilito in altra recentissima decisione, “la dichiarazione d’improcedibilità di un ricorso giurisdizionale d’appelloper sopravvenuta carenza d’interesse può esser pronunciata, a pena di tradursi in un atto di denegata giustizia, quando sia certa e chiara l’inutilità della pronuncia d’annullamento della sentenza di primo grado, a causa di eventi successivi alla proposizione del ricorso”. (Cons. Stato Sez. IV, 28-04-2006, n. 2411)

  1. Sull’interesse a ricorrere

Il Consiglio di Stato individua l’interesse della C. al ricorso di primo grado dall’essere la stessa proprietaria di immobili “posti a confine con l’area interessata al realizzando impianto balneare”.

L’argomento è troppo interessante, considerato il notevole contenzioso di merito sulla questione, per esaurirlo con una indicazione così sintetica e, nella sua sinteticità, così limitativa.

Si può dire che, in modo estremamente conciso, la decisione conferma quanto stabilito dallo stesso organo di giustizia amministrativa, il quale già nel passato aveva dato indicazioni (invero, abbastanza vaghe e generiche) avendo “riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in capo al proprietario di un immobile sito nella zona in cui la costruzione è permessa ed a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa. (Cons. Stato Sez. V, 30-01-2003, n. 469).

Sta di fatto che, a proposito della impugnabilità da parte di terzi del titolo edilizio, la giurisprudenza (soprattutto quella più recente) dei tribunali amministrativi ha riconosciuto ampie facoltà (non solo ai confinanti).

Le espressioni maggiormente usate sono state: “chiunque vi abbia un interesse specifico”; “chi si pone in una relazione di vicinitas qualificata col bene”; ma soprattutto, “chi può vantare uno stabile collegamento alla zona.”

Una interpretazione molto elastica è stata data alla locuzione maggiormente in uso dello “stabile collegamento” alla zona interessata dall’attività edilizia.

Tanto per fare qualche esempio, prendendo in esame la giurisprudenza più recente, a proposito di legittimazione del terzo al ricorso contro il titolo edilizio ritenuto illegittimo, il TAR del Lazio, ha stabilito che “la tutela giurisdizionale in materia di concessioni edilizie rilasciate a terzi non può essere limitata ai soli proprietari frontisti o confinanti, ma deve essere estesa anche ai non proprietari e a tutti coloro i cui interessi di vita (anche economici) siano comunque correlati all’interesse urbanistico della particolare disciplina di ciascuna zona, tanto da doversi riconoscere a detti interessi la natura di “interessi di zona”, in cui la zona va intesa quale “entità territoriale con peculiari caratteristiche, cui dà rilievo la legislazione urbanistica” (T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 21-10-2005, n. 9336).

A proposito dello “stabile collegamento”, principio fissato dalla stessa decisione è che “deve riconoscersi la legittimazione all’impugnazione di una concessione edilizia a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento con l’area oggetto dell’intervento assentito e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica o a questo correlato. In tale contesto si ritiene suscettibile di tutela l’interesse di chi si differenzi, in relazione all’area, dalla collettività dei consociati, anche se cumuli un interesse specificamente urbanistico ad altro di natura economica – commerciale”. (T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 21-10-2005, n. 9336)

In base ad un’altra recente decisione, lo “stabile collegamento” con il territorio interessato dalla concessione edilizia (ora permesso di costruire) “può derivare anche dalla pendenza di una controversia giurisdizionale, la quale deve accertare il soggetto titolare del diritto di proprietà del fondo di cui è causa”. (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 13-06-2005, n. 504)

Per il TAR Piemonte la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta in favore dei “soggetti che vantino un interesse specificoad opporvisi”.

Detto interesse è fondato “ove esista uno stabile collegamento tra il soggetto agente e la zona incisa dal provvedimento”.

Nella fattispecie decisa “ha ritenuto rappresentare uno stabile collegamento tra il ricorrente e l’intervento relativo alla concessione edilizia impugnata la proprietà del terreno confinante con quello oggetto dell’intervento assentito”. (T.A.R. Piemonte Sez. I, 07-07-2003, n. 1042).

Questo per chiarire che legittimato al ricorso contro il titolo edilizio che si assume illegittimo può essere non solo il confinante.

B) Sui Termini del procedimento concessorio

Per dare una portata più generale ai principi fissati, occorre considerare che la “procedura regionale” relativa al rilascio del Permesso di Costruire, come sopra accennato, è puntualmente disciplinata dal testo unico edilizia DPR 380/2001, che ha inglobato la normativa precedete, dove è prevista la formazione del silenzio-rifiuto sulla domanda di Permesso di Costruire con l’inutile decorso del termine per l’adozione del provvedimento conclusivo (artt. 20 e 21).

Dallo stesso testo unico, al quale la legislazione regionale deve “sostanzialmente” uniformarsi, è pure prevista la messa in mora da parte dell’interessato, con atto notificato al dirigente dell’ufficio contenente l’intimazione a provvedere entro 15 giorni (30 per i comuni con oltre centomila abitanti) dal ricevimento della richiesta, con l’inoltro da parte dell’interessato (nel caso decorra inutilmente anche questo termine) di istanza al presidente della giunta regionale competente, il quale, nell’esercizio dei poteri sostitutivi, nomina entro i 15 giorni successivi un commissario ad acta che, nel termine di 60 giorni adotta il provvedimento.

Al testo unico (o alla legislazione da questo assorbita) evidentemente si rifà la legge regionale della Campania 28 novembre 2001, n. 19 (Procedure per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie e per l’esercizio di interventi sostitutivi ), che all’articolo 4 riguardante gli “interventi sostitutivi” prevede che“decorso inutilmente il termine per il rilascio della concessione edilizia, l’interessato può, con atto notificato o trasmesso in plico raccomandato con avviso di ricevimento, richiedere al competente organo comunale di adempiere entro il termine perentorio di quindici giorni dal ricevimento della richiesta” e che“decorso inutilmente il termine di cui al comma precedente, l’interessato può inoltrare istanza al Presidente dell’Amministrazione Provinciale (…) il quale, sostituendosi all’Amministrazione inadempiente, nomina, con proprio decreto, entro i quindici giorni successivi, un commissario ad acta” che “nel termine di trenta giorni dalla nomina, adotta il provvedimento conclusivo del procedimento afferente alla richiesta di concessione edilizia”.

La decisione del Consiglio di Stato in sostanza ha stabilito chel’espressione contenuta nell’art. 4 L.R. n. 19/2001 della Campania “decorso inutilmente il termine per il rilascio della concessione”, si riferisce alla decorrenza oggettiva del termine stesso, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza, quanto al suo decorso, al fatto che il procedimento sia ancora pendente e che l’Amministrazione non sia restata inerte ma abbia disposto ulteriori adempimenti istruttori”.

La locuzione (sul tempo) “inutilmente decorso” (contenuta anche dalla normativa statale) starebbe a significare “mancata adozione del provvedimento conclusivo del procedimento nel termine assegnato”.

La decisione ha precisato che la suddetta espressione (“inutilmente decorso”), con la quale il legislatore regionale ha individuato la circostanza di fatto che giustificava l’intervenuto sostitutorio della Provincia, onde ovviare all’inerzia dell’amministrazione comunale, non può essere interpretata (“come pare abbiano ritenuto i giudici di primo grado”) nel senso che legittimi una “inerzia operativa dell’amministrazione comunale”.

Quindi, per il Consiglio di Stato “inutile decorso del tempo” starebbe a significare, “mancata adozione del provvedimento” – positivo o negativo che sia –“conclusivo del procedimento nel termine assegnato”.

Potendo, a mio giudizio, per i motivi esposti, riconoscere una “portata generale” al principio fissato, si può dire che, stando alla decisione in commento, agisce legittimamente il richiedente un permesso di costruire che, in presenza di adempimenti istruttori dilatori (“inerzia operativa dell’amministrazione comunale”), decorso “oggettivamente” il termine assegnato per l’emissione del provvedimento conclusivo (positivo o negativo che sia), attivi la procedura per l’inoltro all’organo competente istanza di nomina del Commissario ad acta, per la sostituzione dello stesso all’Amministrazione comunale inadempiente.

Le norme che regolano lo svolgimento dell’attività edilizia, dettandone i tempi, farebbero evincere chiaramente, stando alla decisione in commento, che il termine complessivo per il rilascio del permesso di costruire, “si computa sulla base della sua decorrenza oggettiva e non già tenuto conto della sola ipotesi dell’assoluta inerzia operativa dell’amministrazione che potrebbe, altrimenti, prolungarlo sine die con interventi più o meno pertinenti e defatigatori”.

C’è da considerare che in fatto di inerzia, nel caso di specie, il Presidente dell’amministrazione provinciale aveva provveduto alla nomina “dopo aver inutilmente sollecitato l’amministrazione comunale a concludere il procedimento adottando i provvedimenti di competenza”.

C) Sulla legittimità dell’intervento del commissario ad acta

Quanto all’attività del Commissario ad acta, la decisione del Consiglio di Stato stabilisce (con molta sintesi) due principi.

Il primo in ordine all’istruzione della pratica ed il secondo in merito alla decorrenza del termine a lui assegnato.

a) in ordine all’istruzione, il Commissario ad acta “deve provvedere in ordine al rilascio del permesso a costruire sulla basse delle acquisizioni istruttorie già compiute dall’Amministrazione comunale senza alcuna necessità di rinnovare il procedimento”.

Nel caso di specie, il Commissario ad acta aveva rilasciato il permesso, tenendo conto di due consulenze, relative ad un costone sovrastante il tratto di spiaggia, ritenendole “non ostative alla realizzazione dell’impianto che era distante di molti metri rispetto al ciglio del costone”.

b) quanto al termine, la circostanza che il Commissario ad acta abbia provveduto al rilascio del permesso a costruire decorso il termine a lui assegnato “non ne fa venir meno il potere a provvedere, trattandosi di termine previsto a tutela dell’interessato al rilascio della concessione e non degli organi di Amministrazione attiva del Comune che il Commissario è chiamato a sostituire”.

In conclusione, l’accoglimento dell’appello principale del R. e la reiezione dell’appello incidentale condizionato dalla C. ha comportato la riforma della sentenza di primo grado con il rigetto del ricorso al T.A.R. Campania proposto da C. C. e la condanna al rimborso in favore del R. M. delle spese processuali che sono state liquidate in complessivi euro cinquemila.

(Altalex, 11 settembre 2006)

 

CONSIGLIO DI STATO

Sentenza 16 giugno 2006, n. 3555

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 3555/06

Reg.Dec.

N. 2352 Reg.Ric.

ANNO 2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

Sul ricorso in appello n. 2352/2005, proposto da R. M. rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alessandro Biamonte e Franco Iadanza con domicilio eletto in RomaViale Angelico, n.193, presso Franco Iadanza

contro

Provincia di Napoli Citta’ Metropolitana, non costituitasi;

Provincia di Napoli-Area Pianif.Terr. e Urb.Rirezione Urb.,non costituitasi;

C. C. rappresentata e difesa dall’Avv. Lorenzo Bruno Molinaro con domicilio eletto in Roma Via Aquileia, n. 12, presso Andrea Morsillo;

e nei confronti di

Min. Beni e Att. Cult. – Sopr. BB.AA. Paes. Patrim. S.A. e Dem., non costituitosi;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, non costituitosi;

DA. A.,non costituitosi;

Comune Di Procida,non costituitosi;

Interveniente ad Adiuvandum

Maresia S.A.S. Di T. A. rappresentata e difesa dagli Avv.ti Alessandro Biamonte e Franco Iadanza con domicilio eletto in Roma Viale Angelico, 193, presso Alessandro Biamonte;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sede di Napoli: Sezione VI n. 1872/2005, resa tra le parti;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio C. C. e Maresia S.A.S. di T. A.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 21 Febbraio 2006, relatore il Consigliere Sabino Luce. Uditi, altresì, gli avvocati Marone per delega dell’avv.to Iadanza e l’avv.to Molinaro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

1. Con sentenza n. 1872/2005, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania accoglieva il ricorso (n. 7252/2004) proposto da C. C. contro la Provincia di Napoli, il Ministero per i beni culturali e ambientali e nei confronti d R. M..

Il ricorso era stato proposto per l’annullamento del permesso di costruire un impianto per la balneazione e l’elioterapia rilasciato al R. in data 7 aprile 2004 dal Commissario ad acta nominato dal Presidente della Provincia di Napoli ai sensi dell’art. 4 della legge regionale della Campania n. 19, del 28 novembre 2001.

I giudici di primo grado ritenevano che l’intervento sostitutorio dell’amministrazione provinciale non aveva avuto giustificazione, dal momemto che l’ordinario procedimento per il rilascio della concessione edilizia, alla data della nomina del Commissario ad acta, era ancora in fase di svolgimento: ne dava dimostrazione la circostanza che, a seguito di una frana (del 27 luglio 2003), l’amministrazione comunale aveva disposto una consulenza allo scopo, tra l’altro, di verificare la compatibilità tra la realizzazione dell’impianto del R. e le caratteristiche geologiche della zona.

Contro l’indicata decisione il R. ha proposto appello al Consiglio di Stato chiedendo la riforma della impugnata sentenza col rigetto del ricorso di prima istanza; e nella resistenza della controinteressata C. C., il ricorso è stato chiamato per l’udienza odierna al cui esito è stato trattenuto in decisione dal collegio

DIRITTO

2. Va, preliminarmente, respinta l’eccezione di improcedibilità dell’appello del R. per asserita sopravvenuta carenza di interesse; il fatto che le opere eseguite dall’appellante siano state realizzate in difformità al permesso di costruire e che sia stato disposto dal Comune il ripristino dello stato dei luoghi, non fa venir meno l’interesse del R. alla definizione del presente giudizio, dal momento che le indicate evenienze, anche a volerle date per ammesse, sono successive al rilascio del permesso di costruire cui si riferisce il presente giudizio

3. Con il primo motivo di appello, il R. censura la sentenza impugnata per error in procedendo ed error in indicando, avendo i giudici di prima istanza omesso di pronunziarsi sulle eccezioni preliminari di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso di primo grado proposto dalla C. C.. Esso appellante aveva resistito al ricorso proposto in primo grado dalla controinteressata deducendone la carenza di interesse all’annullamento dell’impugnato provvedimento; inoltre, esso R. aveva eccepito l’omessa notifica del ricorso medesimo all’Autorità di Bacino della Campania nord occidentale che aveva pronunciato i pareri (positivi) obbligatoriamente acquisiti nel corso del procedimento e che, tra l’altro, avevano formato oggetto di specifica impugnativa, per altro tardivamente proposta.

Il motivo di appello è tuttavia, infondato con riferimento a tutti gli indicati profili.

Ed invero, l’interesse della C. al ricorso di primo grado scaturiva dall’essere la stessa proprietaria in Procida di immobili, individuati in catasto al foglio 12, particelle nn. 345 – 346 e 194, posti a confine con l’area interessata al realizzando impianto balneare.

La mancata integrazione, inoltre, del contraddittorio nei confronti dell’Autorità di Bacino per la Campania nord occidentale non ha avuto alcuna rilevanza in ordine alla legittimità dell’impugnata pronunzia: come già rilevato in precedenza, la stessa ha riguardato il solo profilo della domanda intesa a censura la mancanza dei presupposti per l’intervento tutorio della Provincia rispetto al quale nessuna rilevanza poteva avere la partecipazione al giudizio dell’Autorità di Bacino indicata.

Il ricorso di primo grado, infine, è stato tempestivamente proposto (con atto notificato nelle date 23/31 marzo 2005) rispetto all’avvenuta conoscenza del provvedimento che formava oggetto specifico di gravame.

4. Con il secondo motivo di appello il R. deduce, poi, violazione e false applicazione degli artt. 1 e 4 della legge regionale Campania 28 novembre 2001, n. 19, violazione dell’articolo 4 del D.L. n. 398/1993, violazione del testo unico sull’edilizia DIR n. 380/2001.

Erroneamente – secondo l’appellante – i giudici di primo grado avevano ritenuto che il procedimento riguardante il rilascio della concessione a costruire, al momento del verificarsi della contestata (in quanto oggetto di accertamenti penali) frana (il 27 luglio 2003) , fosse ancora in corso; di modo che, come ritenuto dai giudici di prima istanza non essendo il termine di cui all’art. 4 della legge regionale n. 19/2001 ancora “inutilmente decorso”, non ricorrrevano le condizioni per un intervento sostitutorio della Provincia.

La doglianza è fondata, dal momento che la decisione del Tribunale amministrativo regionale si è basato su di un’evidente errata interpretazione dell’espressione “inutilmente decorso”, con la quale il legislatore regionale ha individuato la circostanza di fatto che giustificava l’intervenuto sostitutorio della Provincia onde ovviare all’inerzia dell’amministrazione comunale. Inutile decorso del tempo stava a significare, infatti, mancata adozione del provvedimento (positivo o negativo che fosse) conclusivo del procedimento nel termine assegnato; e non già, come pare abbiano ritenuto i giudici di primo grado, inerzia operativa dell’amministrazione comunale.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 2 dell’indicata legge regionale Campania n. 19/2001, a seguito di presentazione della domanda di concessione edilizia, il responsabile del procedimento cura l’istruttoria…….entro il termine di sessanta giorni……….ed entro il termine perentorio di dieci giorni dalla scadenza dei sessanta giorni formula una motivata proposta all’organo comunale competente all’emanazione del provvedimento conclusivo; in base, poi, al successivo comma 4 dello stesso art. 1, la concessione edilizia, qualora il progetto presentato non sia in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici ed edilizia e con le altre norme che regolano lo svolgimento dell’attività edilizia è rilasciata entro il termine perentorio di ulteriori quindici giorni dalla scadenza del termine indicato per la formulazione della proposta da parte del responsabile del procedimento.

Dal che si evince chiaramente che il termine complessivo per il rilascio della concessione edilizia, come previsto dalla normativa indicata, si computa sulla base della sua decorrenza oggettiva e non già tenuto conto della sola ipotesi dell’assoluta inerzia operativa dell’amministrazione che potrebbe, altrimenti, prolungarlo sine die con interventi più o meno pertinenti e defatigatori.

Di modo che l’espressine “decorso inutilmente il termine per il rilascio della concessione”, di cui al successivo art. 4 della legge regionale n. 19/2001, come già rilevato precedentemente, non poteva riferirsi che alla decorrenza oggettiva del termine stesso, senza che potesse attribuirsi alcuna rilevanza, quanto al suo decorso, al fatto che il procedimento fosse ancora pendente e che l’amministrazione non fosse restata inerte ma avesse disposto ulteriori adempimenti istruttori.

Appare evidente, allora, come, legittimamente, il R. – la cui domanda di concessione edilizia era stata presentata fin dal 31 gennaio 2002 – diffidava in data 3 giugno 2003 l’amministrazione a provvedere; ed altrettanto legittimamante, decorso il termine assegnato, il ricorrente, ai sensi del comma 2 dell’art. 4 della legge regionale n. 19/2001 più volte richiamata, inoltrava alla Provincia istanza di nomina del commissario ad acta per la sostituzione dello stesso all’amministrazione comunale inadempiente; nomina, peraltro, cui il Presidente dell’amministrazione provinciale provvedeva dopo aver inutilmente sollecitato l’amministrazione comunale a concludere il procedimento adottando i provvedimenti di competenza.

5. Con il ricorso di primo grado la C. aveva dedotto ulteriori sette motivi di censura che sono stati ritenuti assorbiti dalla sentenza impugnata e che la C. ha riproposto nella memoria di costituzione ed appello incidentale condizionato.

In particolare, era stato dedotta incompetenza, violazione e falsa applicazione delle leggi regionali della Campania n. 65/81 e n. 10/82, violazione e falsa applicazione dell’art. 51 del D.Lgs. n. 490/1999, difetto di motivazione, carenza dei presupposti di fatto e di diritto.

Secondo la ricorrente, l’autorizzazione paesistica prevista dall’art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999, sulla cui base è stata assentita la concessione ad edificare, era stata rilasciata (dall’assessore urbanistico del Comune di Procida) da un organo incompetente dato che secondo quanto previsto dalle leggi regionali 1 settembre 1981, n. 65 e 23 febbraio 1982, n. 10, il relativo potere, per le zone paesistiche, spettava al sindaco; anzi, essendo espressione di un’attività di gestione e non di indirizzo politico, la competenza, dopo la legge n. 127/1997, spettava, più propriamente al responsabile dell’ufficio tecnico del comune.

L’autorizzazione paesistica, inoltre, sempre secondo la ricorrente, era stata immotivatamente rilasciata ed era comunque contrastante con la pianificazione locale, in relazione alla ritenuta temporaneità dell’impianto.

La censura è, tuttavia, infondata e va respinta in relazione a tutti i dedotti profili.

Effettivamente, da quanto si evince dalla documentazione in atti, il provvedimento del comune contenente l’autorizzazione paesistica (decreto sindacale n. 33, del 17 maggio 2000) appare sottoscritto dall’assessore all’urbanistica ing. Rosario Concordia; a quanto, tuttavia, è dato evincere dal testo dell’atto si è trattato di una sottoscrizione delegata (cosiddetta delega di firma) dal sindaco (dott. Luigi Muro) cui l’atto medesimo è esplicitamente riferito.

L’autorizzazione paesistica, inoltre, come si evince dalla premessa del documento, è stata rilasciata in conformità al parere espresso, con il verbale n. 13 dell’11 aprile 2002, dalla commissione comunale per la tutela dei beni ambientali che era l’organo amministrativo competente alla valutazione di merito che aveva adeguatamente motivato e sulla base di quanto previsto dalla legislazione regionale dalla deliberazione causiliare n. 64 del 31 ottobre 1981 che, ad avviso del collegio, non potevano ritenersi derogate dalla normativa di cui alla legge (cosidetta Bassanini) n. 127/1997.

Contrariamente, poi, a quanto dedotto dall’appellante incidentale, come aveva motivatamente rilevato la commissione comunale per la tutela dei beni ambientali (e come è risultato confermato dalla consulenza disposta in sede penale nel procedimento a carico di Ruocco Salvatore + 2), il realizzando impianto del R., in quanto essenzialmente caratterizzato da opere di ingegneria naturalistica, era compatibile sia con il piano regolatore, sia con il piano territoriale paesistico approvato con il D.M. 1° marzo 1971 che erano operanti nel comune.

6. Le indicate considerazioni inducono, poi, a ritenere infondata, l’ulteriore censura dedotta dalla C. con l’appello incidentale e relativa ad un’asserita illegittimità del decreto del 20 novembre 2003, n. 1759, reso dall’amministrazione provinciale di Napoli, con riferimento ad entrambi i dedotti profili.

La tipologia e la natura degli interventi sul territorio che il R. aveva chiesto di realizzare erano stati, motivatamente e correttamente ritenuti compatibili con le previsioni del piano regolatore del comune il quale, peraltro, come ammette la stessa appellante, in quanto approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale del 26 maggio 1984, era risalente di oltre cinque anni; si trattava inoltre di interventi i quali, correttamente erano stati ritenuti esterni al centro abitato (di cui, peraltro, non esisteva alcuna perimetrazione) e che, per la specifica loro natura, erano compatibili con le limitazioni alla volumetria edificabile dell’area come prevista dalla legge regionale n. 17 del 20 marzo 1983.

Neppure, infine, era ravvisabile nel provvedimento del Presidente della Provincia di nomina del Commissario ad acta alcun vizio di incompetenza con riferimento a quanto specificamente disposto dal già richiamato art. 4 della legge regionale n. 19 del 28 novembre 2001

7. Allo stesso modo, infine, ad avviso del collegio, sono da ritenere infondate le censure dedotte dall’appellante incidentale avverso il permesso di costruire rilasciato dal commissario ad acta designato dal Presidente della Provincia.

Il Commissario doveva provvedere sulla basse delle acquisizioni istruttorie già compiute dall’amministrazione comunale senza alcuna necessità di rinnovare il procedimento come sottintendeva il primo profilo della dedotta censura. Il fatto, inoltre, che il Commissario ad acta abbia provveduto al rilascio del permesso a costruire quando era già decorso il termine a lui assegnato della legge regionale (peraltro, per la ritenuta esigenza di acquisire ulteriori elementi istruttori) non ne faceva venir meno il potere a provvedere, trattandosi di termine previsto a tutela dell’interessato al rilascio della concessione e non degli organi di amministrazione attiva del comune che il Commissario era chiamato a sostituire.

Le evenienze, infine, relative al costone di proprietà del R. sovrastanti il tratto di spiaggia di Ciracco – Ciriello interessato da movimenti franosi, erano stati tutte valutate dal Commissario ad acta il quale, nel suo discrezionale apprezzamento (confortato dalle consulenze Ortolani e Ferrante) le aveva ritenute non ostative alla realizzazione dell’impianto che era distante di molti metri rispetto al ciglio del costone.

8. Da tutto quanto precede, deriva l’accoglimento dell’appello principale del R. e la reiezione dell’appello incidentale condizionato dalla C. la quale, in quanto soccombente, va condannata al rimborso all’appellante principale delle spese processuali da liquidare in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale condizionato. Per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado respinge il ricorso proposto in primo grado da C. C. che condanna al rimborso in favore del R. M. delle spese processuali che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2006,in camera di consiglio dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI, con l’intervento dei Signori:

Mario Egidio Schinaia Presidente

Sabino Luce Consigliere Est.

Carmine Volpe Consigliere

Giuseppe Minicone Consigliere

Lanfranco Balucani Consigliere

 

Presidente

f.to Mario Egidio Schinaia

Consigliere                         Segretario

f.to Sabino Luce             f.to Anna Maria Ricci