T.A.R. Campania – Napoli, IV sezione, Pres. Est. Maiello, 12.1.2018, *** (Avv. Raffaello Capunzo) contro Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (Avv.ra Stato) e *** (Avv. Alessandro BIAMONTE)
1. A nulla rileva – in termini di legittimità del provvedimento sanzionatorio comminato dall’organo tutorio (Soprintendenza per i BB.AA.) – l’apposizione postuma (rispetto alla realizzazione dell’opera edilizia) di un vincolo architettonico sull’immobile allorquando il manufatto sia stato realizzato communque sine titulo (e ancorché in epoca risalente – nella specie 1951 – ), in quanto si è in presenza di un illecito permanente, di talchè il perpetuarsi della condizione di illiceità che lo connota rende apprezzabile il suo disvalore ben oltre il momento in cui si è perfezionato, finchè cioè tale stato non venga definitivamente a cessare (con l’eliminazione dell’abuso ovvero la sua regolarizzazione); e ciò sia dal punto di vista edilizio ex articolo 9 della legge 47/1985 (che radica al competenza anche dell’organo tutorio) che ai fini della normativa a tutela dei beni culturali ex d. lgs. 490/1999 (arg. ex T.A.R. Potenza, Basilicata, 14.02.2006 n. 86).
2. L’epoca di realizzazione di un’opera non può assurgere, di per sé, a fattore scriminante, salvo che il ricorrente riesca adeguatamente a provare la sua preesistenza ad una data in cui l’esercizio dello ius aedificandi non era soggetto al previo rilascio di titoli abilitativi
3. L’introduzione del regime relativo alla necessità di un titolo abilitativo edilizio per l’esercizio dello ius edificandi è da farsi risalire, in generale, al 1942 per i centri storici con la legge urbanistica e, per tutto il territorio nazionale, al 1967 in seguito all’entrata in vigore della legge n. 765/1967.
4. Vi sono, poi, ulteriori situazion in in cui la necessità del titolo edilizio è ancora più risalente in forza di previgente regolamento edilizio (è il caso del territorio del Comune di Napoli che, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio, approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio comunale – T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, n. 2051/2010; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 11362/2010; T.A.R.. Campania – Napoli, Sez. IV, n.6879/2009).
5. Il fattore tempo in sé può aggravare l’onere di motivazione: l’ordine di demolizione è atto vincolato; non vi è, dunque, un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781; C.d.S., VI, 5 aprile 2012, n. 2038). Principi di recente ribaditi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9).
Pubblicato il 12/01/2018
N. 00227/2018 REG.PROV.COLL.
N. 10992/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10992 del 2003, proposto da *** ***, rappresentati e difesi dal Prof. Avvocato Raffaello Capunzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Tommaso Caravita,10;
contro
Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato presso i cui uffici, alla via A. Diaz n.11, è ope legis domiciliato;
e con l’intervento di
ad opponendum:
del Condominio di Napoli, via Stella 120, Palazzo dei Principi di Sannicandro, in persona dell’amministratore p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Biamonte, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli, al c.so Umberto n. 35;
per l’annullamento
– dell’ordinanza prot. n. 18179 dell’11.6.2003;
– di ogni ulteriore atto preordinato e connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio riconvocata del giorno 10 gennaio 2018 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I ricorrenti, proprietari di un immobile sito in Napoli alla via Stella n. 120 – Palazzo dei Principi di Sannicandro, con il gravame in epigrafe, impugnano l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, prot. n. 18179 dell’11.6.2003, emesso dalla Soprintendenza di Napoli, ai sensi e per gli effetti del d. lvo 490/99, titolo I, dell’art. 6 della legge 44/75, 9 – 10 – 13 della legge 47/85, ed avente ad oggetto superfetazioni che insistono al piano terra, sia all’ingresso della rampa che accede al piano semicantinato che al vano della scala centrale, dove risultano realizzate chiusure vetuste in legno e ferro, che il predetto organo tutorio ha ritenuto incompatibili con il vincolo insistente sull’immobile, in quanto “”l’introduzione di tali elementi altera il decoro e l’immagine del monumento”.
Segnatamente, nel provvedimento qui gravato si evidenzia che “La rampa che porta al piano semicantinato, con pedane in massello di piperno, risulta coperta da una struttura in legno orizzontale dove è stato realizzato un piccolo vano con un piccolissimo bagno nella zona sottostante. Nel primo ballatoio risulta eseguito un WC; il collegamento verticale con i locali semicantinato di proprietà degli eredi ***, risulta realizzato con vetuste tavole di legno e con struttura di tipo provvisorio e precario”.
Rilevano i ricorrenti che l’atto di vendita datato 1951 comprendeva “l’intero suddetto sotterraneo sito in Napoli a Via Stella, 120 a destra del cortile di detto palazzo composto di tre ambienti compreso quella in cui smonta la scala, questa compresa, nonché di uno stanzino…”.
Avverso il suddetto provvedimento i ricorrenti deducono che:
1) le suindicate superfetazioni venivano realizzate nel lontano 1951, ben prima che venisse ad esistenza alcun vincolo storico sull’immobile in oggetto;
2) sarebbero state violate le garanzie di partecipazione al procedimento ex art. 7 e ss della legge n. 241/1990.
Resiste in giudizio l’Amministrazione statale intimata.
Ha, altresì, spiegato intervento ad opponendum il Condominio di Napoli, via Stella 120, Palazzo dei Principi di Sannicandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso siccome inammissibile e/o infondato.
All’udienza del 20.12.2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Vanno, anzitutto, passate in rassegna le eccezioni sollevate, in rito, dall’interventore secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile siccome, da un lato, non notificato al condominio, sebbene parte controinteressata, e, dall’altro, in quanto già precedentemente, con nota n. 18955 del 18.12.2002, rimasta inoppugnata, la Soprintendenza aveva ordinato la rimozione delle medesime opere qui in contestazione. Inoltre, il mantenimento delle strutture suddette si porrebbe in contrasto con il nulla osta della Soprintendenza (n. 7422 del 2002) di approvazione del progetto di restauro e risanamento, miglioramento funzionale nonché installazione dell’impianto ascensore oleodinamico.
La prima eccezione non ha pregio in quanto, ancora di recente, il giudice d’appello ha ribadito che nel caso di impugnazione di un diniego di permesso di costruire o di una ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contradditorio, atteso che la qualifica di controinteressato va riconosciuta non già a chi abbia un interesse anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato (e tanto meno a che ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse), ma solo a chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto ed immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica, all’uopo precisando che il suddetto principio deve ritenersi predicabile anche nel caso in cui il terzo lamenti la lesione di un proprio diritto soggettivo (cfr. CdS, sez. VI, 168 del 19/01/2016).
Né può essere condivisa l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto il provvedimento qui gravato non può di certo essere qualificato come atto meramente confermativo della precedente determina di ripristino dello stato dei luoghi, essendo espressione di una rinnovata volontà dell’Autorità procedente e riflettendo, pertanto, una propria, autonoma, dignità giuridica di provvedimento, suscettiva, semmai, di assorbire la precedente statuizione.
Quanto al merito della res iudicanda, va, anzitutto, esaminata la censura con cui la parte ricorrente lamenta l’inesistenza, all’epoca di verosimile realizzazione delle opere qui in contestazione, risalenti all’anno 1951, di un formale vincolo storico -artistico notificato nelle forme di legge e trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, unico presupposto per la costituzione del vincolo storico-artistico su beni di proprietà privata.
Il suddetto costrutto riposa su un elaborato peritale di parte, non fatto oggetto di contestazione.
Può, dunque, serenamente affermarsi sulla base delle risultanze processuali che le opere in argomento sono risalenti all’anno 1951 mentre il vincolo storico – artistico risulta costituito solo nel 2001.
Ne discende, dunque, che l’inesistenza del vincolo all’epoca di realizzazione delle opere oggi contestate comportava, con ogni evidenza, l’inconfigurabilità dell’obbligo di munirsi della speciale autorizzazione dell’organo tutorio prevista per la realizzazione di interventi sul manufatto.
Pur tuttavia, a giudizio del Collegio, ed avuto riguardo alla peculiarità del caso in esame, non è possibile trarre dalla descritta situazione, come corollario necessitato, che fosse inibito alla Soprintendeva comminare la sanzione della riduzione in pristino adottata con l’atto qui impugnato.
A tale approdo può, invero, giungersi nei soli casi in cui il soggetto interessato abbia comunque eseguito i lavori in conformità ad un regolare titolo edilizio, evenienza questa non dimostrata.
Ed, invero, il costrutto giuridico attoreo non tiene conto della natura ambivalente dell’illecito in contestazione, che rileva, a fini sanzionatori, anche nella diversa prospettiva edilizia, peraltro espressamente valorizzata nell’economia dell’atto impugnato che, infatti, risulta spedito anche ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 9 – 10 – 13 della legge 47/85.
Occorre, inoltre, soggiungere che l’abuso edilizio di cui è causa, sebbene sia stato realizzato nell’anno 1951 (cioè prima dell’introduzione del vincolo storico qui in rilievo), è un illecito permanente, di talchè il perpetuarsi della condizione di illiceità che lo connota rende apprezzabile il suo disvalore ben oltre il momento in cui si è perfezionato, finchè cioè tale stato non venga definitivamente a cessare (con l’eliminazione dell’abuso ovvero la sua regolarizzazione); e ciò sia dal punto di vista edilizio ex articolo 9 della legge 47/1985 (che radica al competenza anche dell’organo tutorio) che ai fini della normativa a tutela dei beni culturali ex d. lgs. 490/1999 (arg. ex T.A.R. Potenza, (Basilicata), 14/02/2006 n. 86).
Orbene, alla data di adozione del provvedimento impugnato (id est 2003), la violazione de qua doveva, dunque, ritenersi attuale e, come tale, era ben suscettibile di essere sanzionata con la misura ripristinatoria qui applicata.
Ad ulteriore riprova di quanto fin qui affermato occorre soggiungere che non risulta documentata la legittima edificazione delle opere in contestazione, attesa la mancata produzione di un valido e corrispondente titolo.
Né assume rilievo esimente la circostanza che l’epoca di verosimile realizzazione possa risalire al fino al 1951.
Com’è noto, l’epoca di realizzazione di un’opera non può assurgere, di per sé, a fattore scriminante, salvo che il ricorrente riesca adeguatamente a provare la sua preesistenza ad una data in cui l’esercizio dello ius aedificandi non era soggetto al previo rilascio di titoli abilitativi.
Segnatamente, l’introduzione del regime relativo alla necessità di un titolo abilitativo edilizio per l’esercizio dello ius edificandi è da farsi risalire, in generale, al 1942 per i centri storici con la legge urbanistica e, per tutto il territorio nazionale, al 1967 in seguito all’entrata in vigore della legge n. 765/1967.
Di contro, per tutto il territorio del Comune di Napoli, la necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti risale addirittura al 1935 in forza di regolamento edilizio. Il Comune di Napoli difatti, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio, approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio comunale (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, n. 2051/2010; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 11362/2010; T.A.R.. Campania – Napoli, Sez. IV, n.6879/2009).
Orbene, è agevole notare che nessun elemento di prova consente di verificare, in termini di certezza ovvero di elevata verosimiglianza, una qualificata risalenza alla suddetta data (id est al 1935) delle opere in argomento ed incombeva sui ricorrenti l’onere di fornire almeno un principio di prova (T.A.R. Campania Salerno, sez. Il, 18 dicembre 2007, n. 3224).
Né il fattore tempo in sé può aggravare l’onere di motivazione: l’ordine di demolizione è atto vincolato; non vi è, dunque, un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781; C.d.S., VI, 5 aprile 2012, n. 2038).
Tali principi sono stati di recente ribaditi, in seduta plenaria, dal massimo consesso della giustizia amministrativa secondo cui il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9).
In considerazione di quanto fin qui evidenziato le residue doglianze, che involgono l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, dequotano a mere irregolarità non invalidanti secondo lo schema legale di cui all’articolo 21 octies della legge n.241/1990.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.
Le spese, per la novità della vicenda scrutinata, possono essere compensate, ad eccezione del contributo unificato, che resta definitivamente a carico dei ricorrenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese come da motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli con l’intervento dei magistrati:
Umberto Maiello, Presidente FF, Estensore
Michele Buonauro, Consigliere
Maria Barbara Cavallo, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Umberto Maiello