A.E. (Avv. Alessandro Biamonte) contro Procura Generale presso la Corte Suprema di Cassazione e Ministero della Giustizia (Avvocatura Generale dello Stato). T.A.R. Lazio, Roma, I sezione, Pres. Savo Amodio, Est. Marzano, sent. 11.12.2020 n. 13332. Accoglie.
Non può essere frapposto, quale motivo ostativo all’accesso agli atti del procedimento disciplinare a carico di un magistrato, l’esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi invocandosi il contenuto del D.M. n. 115/1996 secondo il quale l’ostensibilità è esclusa per la “documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari ovvero utilizzabile ai fini dell’apertura di procedimenti disciplinari, nonché concernente l’istruzione dei ricorsi amministrativi prodotti dal personale dipendente”, laddove il procedimento disciplinare sia scaturito da un esposto dell’istante e l’accesso sia preordinato all’esercizio del diritto di difesa di quest’ultimo.
E’ dunque illegittimo il diniego dell’accesso agli atti opposto al Magistrato, Presidente del Collegio, che abbia dato avvio al procedimento disciplinare a carico di altro collega, componente del medesimo collegio, che formuli l’istanza in relazione alla dedotta necessità di utilizzare la documentazione ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
v. anche la nota di commento https://www.calamusiuris.org/2020/12/14/i-presupposti-del-diritto-di-accesso-da-maradona-al-caso-esposito-franco/?fbclid=IwAR18uOoGf84HBaXF7k5-RkIFVmQCv0oo6mTh-XXrv50OENL7_GC02_r6OPw
Pubblicato il 11/12/2020
N. 13332/2020 REG.PROV.COLL.
N. 07333/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7333 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Biamonte, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia e Procura Generale della Repubblica Presso la Corte di Cassazione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– della nota datata 16 luglio 2020 nella quale si comunica che “l’unica notizia ostensibile è che il procedimento originato dall’esposto è stato definito”, di risposta alla prima istanza di accesso del 13 luglio 2020
– del provvedimento della Procura generale della Corte di Cassazione – Prot. 30/07/2020.0016812.U, di diniego di accesso agli atti del procedimento disciplinare a carico del giudice -OMISSIS-, attivato su esposto dello stesso dott. -OMISSIS- in data 23 aprile 2015 al Procuratore Generale della Cassazione;
e per l’accertamento del suo diritto ad accedere agli atti richiesti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia con la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice, nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2020, la dott.ssa Laura Marzano in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 4 D.L. 28/2020, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 L. 25 giugno 2020, n. 70, cui rinvia l’art. 25 D.L. 137/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il dott. -OMISSIS- è stato, fino al 18 dicembre 2015, Presidente titolare della -OMISSIS-presso la Corte Suprema di Cassazione, e, nell’anno 2013, ha presieduto la Sezione feriale chiamata a giudicare sull’impugnativa della sentenza della Corte di Appello di Milano relativa al cd. «Processo Diritti -OMISSIS-», conclusasi con la sentenza n. -OMISSIS- del 1° agosto 2013 di conferma della condanna dell’on. -OMISSIS-.
Relatore della causa fu il dott. -OMISSIS- il quale, unitamente al Presidente -OMISSIS- e agli altri consiglieri, firmò la sentenza, approvandone dunque la motivazione.
Il ricorrente espone i seguenti fatti.
A partire dal 29 giugno 2020 veniva avviata una massiva campagna mediatica dal quotidiano “Il Riformista” (estesasi in poche ore a tutti gli organi di stampa) relativa alla registrazione di alcune dichiarazioni rese dal dott. -OMISSIS-, nelle more deceduto, in un incontro avuto con l’on. -OMISSIS-, che hanno “gettato” una grave ombra sull’imparzialità del Collegio giudicante e, in particolare, del Presidente -OMISSIS-.
Nell’attacco mediatico si ricordava, in particolare, una sentenza, successivamente redatta dallo stesso cons. -OMISSIS- (n. -OMISSIS- del 20 maggio 2014, dep. il 19 dicembre 2014), nella quale l’estensore, dopo aver affermato che il caso da lui esaminato era analogo a quello della sentenza n. -OMISSIS-/2013 resa nei confronti dell’on. -OMISSIS-, affermava che la Cassazione, in quella precedente occasione, aveva errato adottando un principio contrario alla costante giurisprudenza della Corte.
Già all’epoca, la citata sentenza aveva suscitato molto clamore – (“la Cassazione si rimangia la sentenza su -OMISSIS-”: così “Libero” 17 aprile 2015; “-OMISSIS- e la scassazione”, così “Panorama” 29 aprile 2015; “il caso: giudice uguale, motivazioni opposte: il giallo del relatore che rinnega se stesso”: così “Il Giornale” 18 aprile 2015; “la faida in toga oscurata dall’odio per -OMISSIS-”: così “Libero” 19 aprile 2015) – tanto che la Presidenza della Corte di Cassazione emanò un comunicato-stampa con il quale sconfessava le affermazioni del dott. -OMISSIS- in essa contenuti, affermando che i due casi non erano analoghi ed evidenziando che “alcune espressioni erano palesemente superflue rispetto al tema della decisione”.
A seguito di tali accadimenti il Presidente -OMISSIS- investì della questione, oltre che il Primo Presidente della Cassazione e il Consiglio Superiore della Magistratura, anche il titolare dell’azione disciplinare e, cioè il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, con esposto del 23 aprile 2015.
La nuova campagna di stampa si è incentrata in particolare sulla sentenza del dott. -OMISSIS- (n. -OMISSIS-/2014) alla quale è stata anche dedicata una trasmissione dalla emittente “Rete 4”, “Quarta Repubblica” del 13 luglio 2020, in cui veniva mostrato e commentato “il nuovo documento”, ai fini di dimostrare l’abuso e l’ingiustizia commessi ai danni dell’on. -OMISSIS- con una sentenza di condanna, quella del 1° agosto 2013, n. -OMISSIS-, sconfessata dallo stesso estensore in una successiva decisione (n. -OMISSIS-/2014), che si assumeva essere stata adottata in una fattispecie analoga a quella del processo “Diritti -OMISSIS-”.
Ritenendo tale trasmissione faziosa e diffamatoria, il dott. -OMISSIS- sporgeva formale querela (depositata alla Procura della Repubblica di Roma in data 28 luglio 2020) nei confronti del conduttore della trasmissione e delle persone intervenute, anche con riferimento a quanto affermato in ordine alla sentenza redatta dal dott. -OMISSIS-.
Peraltro, il dott. -OMISSIS-, il 30 giugno 2020, in relazione ad altra trasmissione di “Quarta Repubblica” del 29 giugno (in cui già si era parlato della decisione n. -OMISSIS-/2014), pubblicava una rettifica-smentita; inoltre avviava, con il quotidiano “Il Giornale”, una procedura di mediazione relativamente alla natura, ritenuta inveritiera, di alcuni articoli ivi pubblicati.
Inoltre la decisione n. -OMISSIS-/2014 veniva fatta oggetto di una memoria integrativa, nell’ambito del ricorso alla CEDU dell’on. -OMISSIS-, affermandosi che «tutto ciò dimostra come la condanna inflitta al ricorrente per avere “ideato” la presunta frode fiscale sia contraria al principio di legalità dei reati sanciti dall’art. 7 CEDU, in quanto fondata su un’applicazione manifestamente arbitraria ed imprevedibile delle norme penali che ha portato a sanzionare una condotta evidentemente “eccentrica” rispetto alle previsioni di legge in contrasto con il consolidato orientamento delle SS. UU. della Suprema Corte (come da quest’ultimo riconosciuto nella citata sentenza n. -OMISSIS-/2014)».
Nello stesso giudizio dinanzi alla CEDU i difensori dell’on. -OMISSIS- assumevano che l’imputato sia stato ingiustamente condannato anche e soprattutto per la prevenzione e la non imparzialità del Presidente del collegio, dott. -OMISSIS-, circostanze di cui la decisione n. -OMISSIS-014 sarebbe una ulteriore dimostrazione.
Tali essendo i fatti il ricorrente, al fine di attivare tutti i necessari rimedi volti a tutelare la propria onorabilità, in data 13 luglio 2020 ha chiesto alla Procura Generale della Cassazione notizie in merito all’esito del procedimento attivato a seguito del proprio dettagliato esposto del 23 aprile 2015 nei confronti del dott. -OMISSIS-.
Con nota del 16 luglio 2020, tuttavia, la Procura si limitava a comunicare che “l’unica notizia ostensibile è che il procedimento originato dall’esposto è stato definito”.
A seguire il dott. -OMISSIS-, con istanza del 23 luglio 2020, ha chiesto la revoca del diniego in autotutela ed ha contestualmente riformulato l’istanza di accesso agli atti, ai sensi della L. 241/90, chiedendo di conoscere il contenuto del provvedimento in ragione della sussistenza di un interesse qualificato all’ostensione, ivi dettagliato.
A tal proposito testualmente precisava di avere “diretto e concreto interesse” ad ottenere il rilascio del provvedimento, dal quale potrebbe trarre utili elementi per tutelare i suoi diritti nelle instaurande cause contro gli organi di informazione, citando l’articolo del “Il Giornale” del 6 luglio 2000, la trasmissione dell’emittente televisiva “Rete 4” che vi ha dedicato un’apposita trasmissione e, infine, le affermazioni effettuate dai difensori dell’on. -OMISSIS- nel giudizio innanzi alla CEDU, ove peraltro, con istanza del 4 luglio 2020, il dott. -OMISSIS- ha chiesto di intervenire per presentare memorie e documenti.
Con nota del 30 luglio 2020 la Procura Generale ha, però, respinto l’istanza, precisando che i dati e gli atti richiesti sono sottratti sia all’istituto dell’accesso documentale, sia a quello dell’accesso generalizzato (non richiesto dall’istante).
Segnatamente, quanto al primo la Procura, richiamando l’art. 24, comma 2, L. 241/1990, ha affermato che l’accesso documentale sarebbe precluso ai sensi del Decreto del Ministero della Giustizia 25 gennaio 1996, n. 115, il cui articolo 4, comma 1, lett. i) esclude dall’accesso la “documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari ovvero utilizzabile ai fini dell’apertura di procedimenti disciplinari, nonché concernente l’istruzione dei ricorsi amministrativi prodotti dal personale dipendente”. Ha aggiunto che tale disposizione sarebbe riferita a tutti i documenti detenuti dal resistente Ministero e non contemplerebbe limitazioni in ragione del ruolo – amministrativo o di magistratura – cui appartiene il personale.
2. Ritenendo illegittimo il suddetto diniego, il ricorrente lo ha impugnato per violazione degli art. 22 – 24 ss. L. 241/1990 e per eccesso di potere per carenza dei presupposti e di istruttoria.
In estrema sintesi il ricorrente lamenta: l’irrilevanza delle argomentazioni contenute nella nota impugnata, riguardanti l’accesso civico generalizzato, non avendo egli attivato tale istituto; la non pertinenza della giurisprudenza citata dalla Procura; l’errata applicazione del D.M. 115/96 che, in subordine, impugna ove interpretato nel senso fatto proprio dalla Procura; in ogni caso l’assoluta prevalenza del diritto all’accesso documentale, sostenuto da un interesse difensivo diretto e concreto, sulle potenziali esigenze di riservatezza.
Le amministrazioni intimate, nel costituirsi in giudizio, premettendo l’insussistenza del diritto di accesso in capo al ricorrente sulla base delle motivazioni del diniego contenute nel provvedimento impugnato, che dichiarano di richiamare, hanno incentrato tutta la difesa sulla asserita inapplicabilità, nel caso di specie, delle norme concernenti il procedimento amministrativo, affermando la natura giurisdizionale della fase pre-disciplinare optando per una interpretazione restrittiva del rinvio alle norme del codice di rito penale contenuto nel D.Lgs. 109/2006.
Aggiunge la difesa erariale che la responsabilità disciplinare: a) non configura un rimedio preordinato a garantire correttezza ed esattezza delle decisioni e non costituisce il presidio dei diritti dei cittadini oggetto di un determinato processo, civile o penale, la cui tutela può e deve essere assicurata esclusivamente all’interno di questo, attraverso gli strumenti previsti dalla legge processuale, ovvero, nei casi nei quali sia ipotizzabile la responsabilità del magistrato, ai sensi della legge n. 117 del 1988, mediante la proposizione della relativa azione in sede civile; b) non è uno strumento preordinato a verificare e garantire la professionalità dei magistrati.
La ratio della responsabilità disciplinare e la finalità delle relative norme renderebbero, a parere della difesa erariale, incontrovertibile l’inesistenza di un interesse dell’esponente, tutelato e tutelabile, in relazione al procedimento pre-disciplinare (ma anche a quello disciplinare), aggiungendo che l’istanza sarebbe inammissibile anche per il suo carattere dichiaratamente esplorativo, avendola il ricorrente motivata con l’affermazione che dal provvedimento richiesto “potrei trarne utili elementi per tutelare i miei diritti nelle instaurande cause”: richiama in proposito i principi espressi dal Consiglio di Stato nella sentenza della Sez. V del 7 gennaio 2020, n. 64 e nella sentenza della Adunanza Plenaria del 2 aprile 2020, n. 10.
Alla camera di consiglio del 2 dicembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Preliminarmente vanno chiariti due profili.
Il primo, di diritto, è che il dott. -OMISSIS- ha formulato una istanza di accesso che, per la sostanza del contenuto e per le ragioni esplicitate a sostegno del suo interesse, non può che essere qualificato come accesso “documentale”, ai sensi della L. 241/90, sicchè si può convenire con il ricorrente laddove osserva che sono estranee al thema decidendum tutte le argomentazioni, spese nel provvedimento impugnato, inerenti l’accesso civico “generalizzato”.
Il secondo profilo, di fatto, è che la difesa erariale ha svolto difese incentrate sulla natura della fase pre-disciplinare, con ciò lasciando intendere, pur senza affermarlo espressamente, che il procedimento riguardante il dott. -OMISSIS-, attivato a seguito di esposto del dott. -OMISSIS-, si sia concluso con un provvedimento di archiviazione: circostanza, questa, che tuttavia non risulta dal diniego impugnato, il quale si esprime in termini di procedimento “definito” (nota del 16 luglio 2020).
4. Passando all’esame delle censure formulate, il Collegio ritiene che il ricorso meriti accoglimento.
4.1. In proposito deve essere richiamata la condivisibile giurisprudenza secondo cui “Non si può negare che la parte lesa da un comportamento disciplinarmente rilevante abbia un interesse qualificato all’ostensione degli atti del relativo procedimento; rilevano, in proposito, esigenze di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, rinvenibili prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale, rispetto alle quali può essere utile acquisire gli atti dell’istruttoria disciplinare. A tal riguardo, il principio di cui all’art. 24, comma 7, L. n. 241/1990, secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”, impone al giudice di accertare se la conoscenza della documentazione amministrativa richiesta è potenzialmente utilizzabile ai fini di difesa, giudiziale o stragiudiziale, di interessi giuridicamente rilevanti” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 21 dicembre 2018, n. 7283).
Si sono pronunciati nel senso di riconoscere il diritto di accesso al procedimento disciplinare, a favore dell’autore dell’esposto, anche: T.A.R. Liguria, Sez. II, 5 ottobre 2016, n. 976, confermata da Cons. Stato, sez. III, 30 ottobre 2017, n. 5004; T.A.R. Toscana, Sez. II, 16 ottobre 2014, n. 1569; T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 11 ottobre 2012, n. 298).
Dunque “la richiesta di acquisizione degli atti del procedimento disciplinare (idonea a disvelare la stessa esistenza del procedimento) deve ritenersi funzionale al perseguimento di un interesse lato sensu giustiziale dei ricorrenti” (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 18 novembre 2019, n. 2755).
E’, stato, altresì, affermato che “L’orientamento giurisprudenziale è andato modificandosi proprio con riferimento alla possibilità di pretendere l’accesso agli atti da parte di colui che abbia presentato un esposto, superando le pronunce … incentrate sulla necessità della dimostrazione della natura strumentale dei documenti richiesti rispetto alla tutela di posizioni giuridiche soggettive proprie del richiedente l’accesso stesso.
In particolare, con sentenza n. 7 del 2006, l’Adunanza plenaria ha affermato di condividere “l’assunto della Sezione remittente, secondo cui la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell’esposto ha tratto origine”.
Parafrasando l’affermazione contenuta nella citata pronuncia, l’aver rappresentato all’Amministrazione una situazione che potrebbe aver compromesso il buon andamento dell’azione amministrativa genera, in capo al soggetto, una situazione giuridica soggettiva differenziata che legittima la pretesa a conoscere se e come sia stato valutato quanto denunciato” (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 1299).
La sentenza da ultimo citata ha, peraltro, precisato che “Le conclusioni cui è addivenuto il Consiglio di Stato appaiono, dunque, condivisibili, ancorché la giurisprudenza successiva abbia aggiunto ulteriori specificazioni, ritenendo che la qualifica di autore dell’esposto debba essere accompagnata, per giustificare l’accesso agli atti, da “altri elementi”.
Nella fattispecie in esame, infatti, la conoscenza dell’esito del procedimento disciplinare e delle ragioni che l’hanno determinato potrebbe avere rilevanza nell’ambito delle controversie civili ed amministrative pendenti e generate anche dagli atti e dai comportamenti tenuti dal … contestati dall’odierno ricorrente”.
Sulla scorta di tali evidenze la pronuncia in rassegna ha ritenuto sussistenti anche quegli “altri elementi” che qualificano la pretesa e, quindi, ha accolto il ricorso.
4.2. La giurisprudenza innanzi riportata sostanzialmente sconfessa l’argomentazione di parte resistente, non rinvenibile nel provvedimento impugnato e purtuttavia da considerare ai fini della verifica della spettanza o meno del diritto all’accesso (Cons. Stato, Sez. V, 9 marzo 2020, n. 1664), secondo cui gli atti del procedimento disciplinare sarebbero sottratti all’accesso poiché tale procedimento, ivi compresa la fase pre-disciplinare, non avrebbe natura di procedimento amministrativo.
Il Collegio osserva che può ritenersi jus receptum il principio di ostensibilità dell’esito del procedimento disciplinare e della motivazione ad esso sottesa, ove la richiesta provenga dall’autore dell’esposto e tale conoscenza sia rilevante a fini difensivi.
Ciò posto, esportando i superiori principi al caso di specie, deve rilevarsi che il ricorrente dott. -OMISSIS- ha indicato chiaramente di ritenere lesa la sua onorabilità da parte delle notizie divulgate a mezzo stampa e a mezzo emittenti radiofoniche sulla vicenda in rassegna, e di dover attivare e, in parte, di aver già attivato, precisi rimedi in sede giurisdizionale, tendenti, nella sostanza, a smentire le affermazioni del defunto collega dott. -OMISSIS-, divulgate appunto con tali mezzi.
Ha, altresì, fatto presente di aver chiesto di poter intervenire nel giudizio promosso dall’on. -OMISSIS- innanzi alla CEDU, proprio al fine di poter confutare, anche in quella sede, le medesime notizie di stampa utilizzate, a fini difensivi, dallo stesso on. -OMISSIS-.
Infine ha riferito: che già nel 2015 la Presidenza della Corte di Cassazione aveva emanato un comunicato-stampa con il quale sconfessava le affermazioni del dott. -OMISSIS- affermando che i due casi non erano affatto analoghi ed evidenziando che “alcune espressioni erano palesemente superflue rispetto al tema della decisione”; che il 30 giugno 2020, in relazione alla trasmissione di “Quarta Repubblica” del 29 giugno (in cui già si era richiamata la decisione n. -OMISSIS-/2014), egli aveva pubblicato una rettifica-smentita; che a seguito dell’ulteriore trasmissione “Quarta Repubblica” del 13 luglio 2020, in cui l’argomento è stato ripreso, egli ha sporto formale querela nei confronti del conduttore, depositata alla Procura della Repubblica di Roma in data 28 luglio 2020; che nei confronti del quotidiano “Il Giornale”, che ha trattato l’argomento (6 luglio 2013), egli ha pubblicato una diffida-smentita pubblicata dallo stesso quotidiano il 9 luglio 2013 e, successivamente, ritenendo inveritieri e diffamatori gli articoli, ha attivato nel 2020 la procedura di mediazione nei confronti de “Il Giornale” anche per l’articolo: “La sentenza della Cassazione che discolpa il -OMISSIS-”.
4.3. Alla luce delle riportate circostanze di fatto, risulta dirimente la considerazione che l’istanza di accesso in parola, lungi dall’essere meramente esplorativa, è palesemente sorretta da precise, documentate e preesistenti esigenze difensive.
Invero le pronunce del Consiglio di Stato che la difesa erariale invoca a sostegno della legittimità del diniego in questa sede impugnato depongono in senso esattamente contrario.
Difatti, la sentenza della Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64, occupandosi di un tipo di accesso, quello ai sensi dell’art. 53 D.Lgs. 50/2016 in materia di appalti, che è “strettamente legato alla sola esigenza di «difesa in giudizio»: previsione più restrittiva di quella dell’art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990, che contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso, ove necessario, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6121), offre importanti spunti ermeneutici.
Invero, premessa la sostanziale differenza tra accesso documentale ex art. 24 L. 241/90 e accesso agli atti di gara, di cui all’art. 53 D.Lgs. 50/2016, il Consiglio di Stato ha affermato “che, al fine di esercitare il diritto di accesso riguardo a informazioni contenenti eventuali segreti tecnici o commerciali, è essenziale dimostrare non già un generico interesse alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, ma la concreta necessità (da riguardarsi, restrittivamente, in termini di stretta indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio” specificando che “la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (anche da parte di chi vi abbia, come l’impresa seconda graduata, concreto ed obiettivo interesse) non legittima un accesso meramente esplorativo a informazioni riservate, perché difetta la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia”.
Orbene, tale essendo il principio cardine, perfino nell’ambito di una tipologia di accesso delimitata da più rigidi paletti, il Collegio rileva che, nel caso di specie, nel richiedere l’accesso documentale ai sensi della L. 241/90, il dott. -OMISSIS- non ha manifestato “la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale”, avendo, al contrario, riferito, di avere già in corso iniziative processuali e di essere in procinto di proporne altre, in relazione alle quali non ha necessità di sondarne l’eventuale opportunità bensì di acquisire materiale probatorio da produrre nell’ambito delle stesse.
In altri termini, a differenza di quanto sostiene la difesa erariale, l’interesse difensivo del ricorrente, nel caso di specie, preesiste alla domanda di accesso e non ne è conseguenza.
4.4. Le conclusioni che precedono sono pienamente coerenti anche con l’ulteriore decisione, invocata dalla difesa erariale, n. 10 del 2 aprile 2020, resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Tale pronuncia è stata resa con riferimento ad una fattispecie in cui il diniego di accesso agli atti era incentrato sulla motivazione per la quale «la documentazione richiesta concerne una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito dalla gara in oggetto, e perciò ricompresi nel concetto più generale di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», “con la conseguente applicazione dei limiti, stabiliti dalla L. 241/1990, tra i quali connessi alla necessaria titolarità, in capo al richiedente l’accesso, di un interesse qualificato”.
Il Supremo Consesso ha innanzitutto ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato “è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. L. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115) laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio”.
Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse e sulla conseguente legittimazione, che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, la pronuncia in rassegna ha precisato che “occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse – per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post. … Diversamente, infatti, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990)”.
4.5. Alla stregua dei riportati principi, ancora una volta il Collegio non può non evidenziare come, nel caso di specie, l’interesse difensivo del ricorrente sia non soltanto concreto, attuale e diretto ma anche pacificamente preesistente all’istanza di accesso, ditalchè sussistono entrambi i presupposti richiesti dalla legge e chiariti dalla giurisprudenza per consentire l’accesso richiesto.
Va ricordato infatti che, “a livello ordinamentale la giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel senso che l’art. 22 comma 2, L. n. 241 del 1990 secondo cui l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, introduce al comma 3 il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto interesse con altri interessi meritevoli di tutela, riconoscendo il diritto di accesso agli atti a chiunque vi abbia interesse in quanto finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, ossia a quei soggetti, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (Cons. Stato, Sez. IV, 15 maggio 2020, n. 3101).
4.6. Alle conclusioni che precedono non osta la previsione del D.M. 115/96, ricordata nel provvedimento, a tenore della quale è sottratta all’accesso, per l’esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, la “documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari ovvero utilizzabile ai fini dell’apertura di procedimenti disciplinari, nonché concernente l’istruzione dei ricorsi amministrativi prodotti dal personale dipendente” (art. 1, comma 1, lett. i).
Invero, l’art. 24, L. 241/90, che disciplina l’esclusione dall’accesso “documentale”, al comma 7, precisa che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
A tale proposito il Collegio osserva che non è pertinente il richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato, alla sentenza di questa Sezione n. 5714 del 7 maggio 2019 e alla sentenza del Consiglio di Stato, che la ha confermata, Sez. V, n. 2309 del 6 aprile 2020.
Le suddette pronunce, invero, si sono limitate ad affermare, con riferimento ad una fattispecie di accesso civico “generalizzato”, quanto alla disposizione di cui all’art. 1, comma 1, lett. i) del D.M. 115/96, da una parte che “la genericità dell’espressione utilizzata dalla norma («documentazione attinente a procedimenti disciplinari») è onnicomprensiva di ogni risultanza del procedimento disciplinare, dove entra a pieno titolo anche l’atto di archiviazione conclusivo del relativo iter, adottato all’esito della pertinente fase istruttoria (ex art. 16 d.lgs. n. 109 del 2006)” e, dall’altra, che “si riferisce al rapporto di “dipendenza” lavorativa presso il Ministero, non anche ad un rapporto di dipendenza “gerarchica” del personale dall’amministrazione (per tale incompatibile con l’autonomia costituzionalmente garantita al personale di magistratura)”.
Il Consiglio di Stato ha, dunque, condiviso la sentenza di questa Sezione appellata laddove ha ritenuto “sottratte all’accesso civico generalizzato le motivazioni del provvedimento di archiviazione della segnalazione disciplinare scaturita dall’iniziativa dell’odierno appellante, sul presupposto che ricorresse la causa di esclusione (avente carattere assoluto, ossia non sindacabile dall’amministrazione) dell’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, relativa a «altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.
Premesso che, come precisato dalla stessa pronuncia del Consiglio di Stato, “la diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente una sovrapposizione tra le diverse figure di accesso, che operano in contesti e per finalità differenti”, il Collegio osserva che la disciplina dell’accesso generalizzato non reca una norma “di chiusura”, quale quella dettata per l’accesso “documentale”, ove al comma 7 dell’art. 24 L. 241/90, sistematicamente collocato all’interno della norma che disciplina segnatamente la “Esclusione dal diritto di accesso”, stabilisce che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
Ne discende che, nel caso di specie, vertendosi in fattispecie di accesso documentale, non è pertinente il richiamo alle riportate pronunce, che si riferiscono ad una fattispecie di accesso “generalizzato”, mentre, viceversa, opera la previsione di cui al riportato comma 7 dell’art. 24, L. 241/90.
4.7. Per dovere di completezza il Collegio osserva che non sono pertinenti neanche le obiezioni della difesa erariale secondo cui la responsabilità disciplinare: a) non configura un rimedio preordinato a garantire correttezza ed esattezza delle decisioni e non costituisce il presidio dei diritti dei cittadini oggetto di un determinato processo (civile o penale), la cui tutela può e deve essere assicurata esclusivamente all’interno di questo, attraverso gli strumenti previsti dalla legge processuale, ovvero, nei casi nei quali sia ipotizzabile la responsabilità del magistrato, ai sensi della legge n. 117 del 1988, mediante la proposizione della relativa azione in sede civile; b) non è uno strumento preordinato a verificare e garantire la professionalità dei magistrati.
Innanzitutto si tratta di argomentazioni eccentriche rispetto al thema decidendum, che è circoscritto alla verifica della sussistenza dell’interesse qualificato del ricorrente dott. -OMISSIS- ad avere accesso all’esito del procedimento disciplinare a carico del dott. -OMISSIS-, attivato su suo esposto.
In ogni caso, l’argomentazione secondo cui la tutela dei cittadini può e deve essere assicurata esclusivamente all’interno del processo, attraverso gli strumenti previsti dalla legge processuale, non esclude affatto che, accanto agli strumenti offerti dalla legge processuale, operi anche l’istituto dell’accesso documentale.
Invero, in ordine alla possibile concorrenza tra accesso difensivo e poteri istruttori disciplinati dal codice di procedura civile, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 19 del 25 settembre 2020, ha espressamente affermato che “L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi ‘restrittiva’, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente -, è operazione ermeneutica che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova intesi in senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a ‘cura’ e ‘difesa’ della situazione giuridica soggettiva ‘finale’ asseritamente lesa”.
Se ne deve inferire che, anche laddove nei giudizi in corso ed instaurandi, il ricorrente dovesse formulare richieste istruttorie o sollecitare i poteri officiosi del giudice al fine di acquisire agli atti del processo l’esito del procedimento disciplinare a carico del dott. -OMISSIS-, ciò di per sé non escluderebbe la possibilità di usare anche lo strumento dell’accesso documentale “per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a ‘cura’ e ‘difesa’ della situazione giuridica soggettiva ‘finale’ asseritamente lesa”.
4.8. Non meno rilevante è la considerazione che, nella sostanza, il dott. -OMISSIS- è impegnato a fornire una “prova negativa”, quanto mai difficile da sostenere in assenza di elementi oggettivi che depongano per la non veridicità delle affermazioni che ledono la sua onorabilità, elementi che, in applicazione del principio della “vicinanza della prova”, egli potrebbe, secondo il suo auspicio, acquisire proprio avendo accesso agli atti del procedimento disciplinare a carico del dott. -OMISSIS-, attivato a seguito di suo esposto (in tema di “vicinanza della prova” cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 17 maggio 2017, n. 490).
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, il diniego impugnato deve essere annullato e, conseguentemente, deve essere ordinato alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, di consentire al ricorrente l’accesso al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare avviato a carico del dott. -OMISSIS-, su esposto dello stesso dott. -OMISSIS-.
5. Le spese del giudizio possono essere eccezionalmente compensate, tenuto conto della particolarità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il diniego impugnato e ordina alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, di consentire al ricorrente l’accesso al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare avviato a carico del dott. -OMISSIS-, su esposto dello stesso dott. -OMISSIS-.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità del ricorrente e di qualsiasi altro soggetto nominato in sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 4 D.L. 28/2020, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 L. 25 giugno 2020, n. 70, cui rinvia l’art. 25 D.L. 137/2020, con l’intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Laura Marzano, Consigliere, Estensore
Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Laura Marzano | Antonino Savo Amodio |